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Forum :: La vetrina di Penna d' Oca :: E' meglio essere precisi :: Chi ha parura del Socialisomo?
Autore Chi ha parura del Socialisomo?
Redazione1
29.07.2006 14:40
Chi ha paura del socialismo?
di Mimmo Lucá
Il Dibattito sul partito democratico sembra giunto ad una svolta positiva.
Ma serve molto coraggio se davvero si vuole che il nuovo soggetto politico
diventi realtà. Il Paese ne ha urgente bisogno e gli elettori ce lo chiedono
da tempo. Solo le nostre resistenze e le nostre paure possono impedire la
sua nascita. Voglio dirlo in particolare agli amici della Margherita, che
in questi giorni hanno riproposto con forza le ragioni della tradizione dei
cattolici democratici in opposizione a quelle del socialismo europeo.
L'unità è necessaria e richiede coraggio. Ma una tradizione politica riformista,
per quanto nobile e qualificata essa sia, si rivela vitale solo se sa declinare
al futuro il suo servizio al Paese. Vale anche per il cattolicesimo democratico.
Basta guardare alla sua storia. Quali che siano i singoli filoni cui ci richiamiamo,
c'è un unico insegnamento che ci viene dai maestri che ci hanno preceduto:
Grandi, Sturzo, De Gasperi, Dossetti, Moro, Gorrieri... sono stati tutti
cristiani adulti nella fede e politici laici capaci di compiere scelte forti,
orientate al futuro; scelte coraggiose che li hanno spesso esposti ad incomprensioni
ed emarginazioni da parte della stessa Chiesa.
Confesso che non mi appare particolarmente coraggioso l'atteggiamento che
porta a dire «non vogliamo morire socialisti». E vorrei dire ad amici come
Castagnetti, Bindi, Fioroni, che hanno adoperato spesso questa espressione,
non vi sembra che in questa espressione ci sia ancora troppo di vecchie dispute
e vecchi rancori? Le correnti del cattolicesimo politico italiano non hanno
forse scelto a suo tempo la strada del «centro che marcia a sinistra»? E
su quella strada non hanno incontrato prima i socialisti e più tardi gli
stessi comunisti? Da dove nasce dunque questa avversione per il socialismo?

Il socialismo democratico europeo è una tradizione nobile e plurale, non
un monolite ideologico. E non ha dovuto fare revisioni traumatiche dopo il
1989. È in ricerca, certo, e ancor più deve esserlo se vuole stare all'altezza
delle sfide che questo tempo impone alla politica. Ma questo è vero per tutte
le tradizioni politiche.
Il socialismo in Europa non è un'identità chiusa, non è una «religione laica»
con dogmi e custodi di un'ortodossia ottocentesca. È sinonimo anche di liberaldemocrazia
progressista o di cristianesimo progressista.
Se condividiamo il nuovo cammino, i passaggi intermedi per sensibilizzare
i già socialisti a nuove aperture e i non socialisti a un lavoro con l'insieme
del Pse li troveremo. Dobbiamo sommare i riferimenti per fare un centrosinistra
europeo più ampio, non tagliare ponti. D'altra parte, io credo che la costituzione
in Italia di una nuova formazione unitaria, spingerà anche in Europa verso
l'unità dei democratici e dei riformisti.
È tempo, dunque, di uscire da un confronto che si limita a registrare le
differenze, avendo laicamente presente che abitare nello stesso partito non
vuol affatto dire pensarla tutti allo stesso modo su tutto. Quel che certamente
serve è raggiungere i necessari livelli di convergenza su un pensiero strategico
e su orientamenti programmatici che consentano al nuovo partito di stare
in campo e di fare la sua politica.
Vale anche sui temi eticamente sensibili: se da un parte e dall'altra si
incontrano «cattolici laici» e «laici laici», fuori da opposti ideologismi
e integralismi, un ragionevole punto di incontro è possibile. Viviamo del
resto in un'epoca dove il pluralismo delle identità e delle culture è sempre
più esasperato. E sempre più spesso si tratta di identità a corto raggio.
Nessun grande soggetto politico può oggi immaginarsi unito attorno ad una
cultura monolitica e prescrittiva. Un partito che voglia raccogliere i consensi
di almeno un terzo degli elettori può essere concepito oggi solo come un
partito plurale nel quale convivono più identità e più culture.
Prendiamo il caso che ci interessa più da vicino: la questione del cattolicesimo
democratico. Una storia che ha la sua grandezza. Cos'è, oggi, nell'Ulivo,
il cattolicesimo democratico? Cosa potrà essere, più in generale, nell'era
che vede allontanarsi la prospettiva dei partiti di cattolici a forte ispirazione
cristiana? Non sembra anche a Castagnetti che il partito dell'Ulivo può,
deve essere l'occasione per mettere in dialogo e in collaborazione (quanto
meno!) le diverse esperienze associative - e sono davvero tante - che a quel
cattolicesimo si richiamano ed abitano nell'Ulivo?
Il nuovo partito non ci condanna alla diaspora. Ci dà anzi l'opportunità
di nuove convergenze da far valere dentro il soggetto unitario.
La tradizione da cui veniamo entrambi, del resto, ci chiede di continuare
ad operare per superare l'anomalia della democrazia italiana; per condurla
verso una democrazia compiuta, ben sapendo che il problema principale, come
ripete spesso Romano Prodi, è proprio quello di superare antichi steccati..

Quando parla della necessità di non fare forzature, Castagnetti si riferisce
alla vecchia deriva del sospetto cattolico verso la sinistra e all'influenza
che sul suo persistere hanno le attuali posizioni della nostra gerarchia
ecclesiastica. In realtà il cattolicesimo democratico oggi non si salva restando
chiusi nei nostri recinti, magari aggiornati nei nomi ma ancora troppo condizionati
da vecchie derive. Lo si salva rigenerandolo. E lo si rigenera cominciando
con l'unire ciò che gli attuali partiti tengono diviso in ragione di vecchie
vicende oramai archiviate: cattolici liberali, popolari, sociali, e poi di
matrice democristiana, cattosocialista, cattocomunista.
Sì, caro Castagnetti, questo partito s'ha da fare. E non lo dico soltanto
per un'antica passione; lo dico per una razionale e attuale valutazione politica.
Trovo cento ragioni, e tutte mi parlano del futuro da costruire. Dalla messa
in campo, in tempi ravvicinati, del nuovo soggetto dipendono molte cose:
la durata del governo, la sua capacità di stare all'altezza delle emergenze
e delle sfide, quindi, in definitiva le possibilità a medio termine di far
uscire davvero il Paese dalla sua crisi.
È tempo di ritrovare, tutti noi, il gusto di un'impresa politica che sia,
al tempo stesso, di alto profilo e in grado di dare risposte concrete e adeguate
alle insicurezze e ai desideri di libertà che segnano i vissuti attuali degli
italiani.
Non si tratta solo di cosa si propone ma di come lo si fa. Autenticità, fedeltà,
coerenza, coraggio: sono queste le qualità di cui anche la politica ha oggi
bisogno.
Questo non è il tempo per custodire gelosamente la propria identità. È il
tempo di chiedersi come metterla ancora e sempre a servizio del bene comune..
Questo esige l'etica della responsabilità di cui parlava un cristiano come
Max Weber.
La laicità democratica definisce lo spazio pubblico entro il quale tutte
le persone, credenti, non credenti e diversamente credenti confrontano liberamente
e responsabilmente le loro opinioni, affermano le loro identità, promuovono
i loro stili di vita. Ma definisce anche una responsabilità, in quanto cittadini
di una nazione e partecipi delle sue affiliazioni e alleanze internazionali..
La responsabilità di cercare il massimo di coesione sociale e politica che
consenta di governare il Paese perseguendo il bene di ciascuno e di tutti.
Fonte: rassegna stampa di Articolo 21

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Angelo Cifatte
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