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Petizione poplare per difesa dei minori
31.05.2007

Petizione Popolare per la difesa del diritto di istruzione dei minori La difesa del diritto di istruzione esige una riorganizzazione del sistema giuridico che parta soprattutto dalle riflessioni sullo status giuridico dei minori. Occorre, infatti, stimolare la coscienza sociale assopita sull’importanza dei diritti fondamentali della persona umana, sull’importanza del concetto di uomo e sulla necessità socio-individuale di investire sulla formazione e sulla cultura. Occorre far tesoro degli errori del passato, trasformandoli in pillole di saggezza per costruire un futuro migliore. La società si costruisce attraverso l’istruzione intesa come trasmissione di conoscenze. L’istruzione è un diritto individuale, ma è soprattutto un patrimonio universale che va difeso con adeguati strumenti giuridici. L’art 731 codice penale risulta inadeguato a tutelare il diritto d’istruzione, inteso come diritto fondamentale della persona umana ex art 2 della Costituzione Italiana. La norma risulta essere, inoltre, inadeguata a contrastare il fenomeno della dispersione ed evasione scolastica, non tutela il diritto dei minori a ricevere un’adeguata istruzione atta a sviluppare la propria personalità, ma essendo collocata fra “le contravvenzioni concernenti l’attività sociale della p.a.”, tutela l’interesse statale all’istruzione dei minori. L’art 731 c.p. tutela, quindi, solo un aspetto della complessa fattispecie in esame, non considera che l’istruzione è innanzitutto un diritto inviolabile dell’individuo, oltre un dovere di solidarietà economica-sociale. Sarebbe, pertanto, più appropriato tutelare due beni giuridici: l’interesse statale all’istruzione dei minore e il diritto soggettivo alla costruzione della propria personalità. Occorrebbe, inoltre, tutelare la libertà individuale del minore, mettendolo al riparo da abusi di autorità o da atti diretti ad annientare la sua personalità individuale, e, prevedendo sanzioni come quelle degli art 600 e ss cp. (reclusione e multa), soprattutto in presenza di situazioni in casi di sfruttamento del minore in attività illecite. L’art 731 c.p., da un lato, tutela l’obbligatorietà dell’istruzione inferiore (sancito dall’art 34 Cost), garantisce al minore la frequenza di un certo numero di anni ed evita che incurie familiari o bisogni economici spingano le stesse a espropriare il minore del suo diritto di istruzione; dall’altro lato, invece, vanifica il diritto in oggetto prevedendo i giusti motivi e l’irrogazione di una multa di massimo € 30. Non è con una sanzione economica che si convincono i genitori a vigilare che i figli vadano a scuola. E’ necessario, pertanto, almeno inasprire le sanzioni, ovvero prevedere l’irrogazione della reclusione e/o di una multa invece della semplice ammenda; abrogare l’inciso “giusti motivi” ( in quanto un interpretazione estensiva del termine vanificherebbe l’obbligo sanzionato) ed introdurre la sospensione della patria genitoriale ai sensi dell’art 34 c.p , in quanto il genitore che non vigila o non manda il minore a scuola, viola i doveri previsti dalla Costituzione agli articoli 2 e 30, doveri ribaditi anche dall’art 147 c.c., e creando un grave pregiudizio al minore. Bisogna predisporre un adeguato assetto legislativo con strumenti che possano realmente incidere, e mobilitare risorse umane e finanziarie al fine di supportare ed aiutare scuola, famiglia ed istituzioni contro il fenomeno dell’evasione. Per anni i bambini sono stati considerati non come persone, ma come res di proprietà dei genitori, privi di diritti. Sono state sottovalutate le esigenze della personalità del minore. Minori picchiati, sfruttati, trascurati dai genitori, umiliati, incompresi, privati della propria identità. Ne consegue che la tutela del minore viene affidata esclusivamente ai genitori, ed in caso di inerzia, si vanifica qualsiasi tutela astrattamente predisposta. Questo clima culturale è presente anche nel nostro codice penale scritto negli anni 30. Il legislatore, infatti, si preoccupò di tutelare più l’istituzione familiare nel suo insieme, che la regolarità delle relazioni familiari tra i singoli membri di essa. Il minore veniva considerato in una posizione subordinata all’interno di un nucleo che aveva forti poteri su di lui. Inoltre, le norme a tutela dei diritti dei minori sono sparse nel codice penale, alcune (come quello dell’articolo in oggetto), sono rubricate nella sezione delle contravvenzioni, e non nei delitti contro la persona. Sarebbe opportuno che le varie fattispecie, che vedono il minore vittima del comportamento delittuoso, fossero, invece, raggruppate in unico e specifico capo del codice penale dedicato ai “reati in danno ai minori”. Nel caso in cui sorgano dei contrasti o i genitori dimentichino la loro funzione di guida nel processo di sviluppo del figlio, l’ordinamento giuridico, anche a livello costituzionale, riconosce che il diritto del minore è incomprimibile, perché attiene ai diritti fondamentali della persona, e considera il correlativo diritto dei genitori subordinato all’adempimento dei doveri necessari allo svolgimento della funzione. Il riconoscimento della famiglia come comunità naturale ai sensi dell’art 2 Cost., libera di autoregolarsi, non può essere identificato con l’ autarchia, in cui trovano legittimazione tutte le prevaricazioni di un membro sull’altro. Il riconoscimento dei diritti della famiglia sono subordinati all’adempimento dei inderogabili doveri di solidarietà familiare. I poteri che l’ordinamento conferisce nell’ambito familiare non sono, infatti, funzionali al personale ed egoistico interesse dei singoli membri, ma costituiscono strumenti per lo sviluppo della comunità e delle singole personalità che la compongono. Pertanto, se vi sono distorsioni nelle relazioni familiari che compromettono lo sviluppo dei soggetti che la compongono, lo Stato deve intervenire a tutela dei diritti del singolo da tutte le onnipotenze prevaricatorie. Tale intervento non si configura come una ingerenza sopraffattrice sulla legittima autonomia privata, ma come attuazione del precetto costituzionale che riconosce le formazioni sociali e i loro diritti. La promozione dei diritti fondamentali della persona, e non l’ annientamento degli stessi, costituisce la condicio sine qua non del riconoscimento. L’esigenza di tutelare in modo attivo tali diritti è il movente della presente petizione, che si propone di realizzare una tutela piena e trasversale dei diritti dei minori. Valeria Caputo Cittadinanza e democrazia (1a parte) Il concetto di cittadinanza è ipotizzato come punto centrale di una libera concezione di democrazia. Chi è il cittadino? Possiamo rispondere subito come quello che fa parte per discendenza familiare o appartenente a un territorio di uno Stato. E’ un soggetto diverso dallo straniero perché soggetto alla legislazione dello Stato, per cui gode dei diritti e doveri stabiliti. Quindi la cittadinanza è status soggettivo che implica appartenenza ad una società politica, che gode di una serie di diritti riconosciuti e garantiti dalla società stessa. T.H.Marshall, definisce cittadinanza come una "forma di uguaglianza umana fondamentale, connessa con il concetto di piena appartenenza ad una comunità", il cui contenuto è dato da una serie di diritti. Il sociologo Mashall collega il processo dei diritti di cittadinanza ai progressi della società moderna industriale affermando che l'attribuzione di questo status (status di cittadinanza) e dei diritti e doveri ad esso collegati, ha permesso l'integrazione dei ceti sociali emersi con lo sviluppo della società industriale. Questa evoluzione costante verso l'uguaglianza viene letta come flusso spontaneo o come il risultato di conflitti, guerre, carestia, migrazioni, rivoluzione e rivendicazioni. Attraverso questi processi il contenuto della cittadinanza si è arricchito di nuovi diritti, che stesso Marshall divide in tre classi: i diritti civili, politici e sociali. Allora questo è un concetto dinamico che è risultato di un processo storico di espansione che presenta comunque il carattere di appartenenza ad una società politica. Nella società moderno il cittadino è visto come unità costitutiva della società, il titolare di diritti che la società stessa riconosce e garantisce. L'uomo è titolare per natura di diritti fondamentali ed inalienabili, e decide di associarsi con altri uomini per salvaguardare questi diritti. Si può dire che lo Stato e la società sono concepiti come il risultato di un patto associativo tra individui liberi ed uguali, che diventano cittadini affinché la struttura, frutto del loro accordo permetta la migliore garanzia dei loro diritti fondamentali; la libertà, la sicurezza e la proprietà. L'uomo diventa cittadino, cioè parte di una società politica di simili, perché altrimenti i suoi diritti non avrebbero concretezza e non troverebbe attuazione. Ricordiamo che la società politica intende indicare lo stato nazionale. Questa ci ricorda la Dichiarazione del 1789, dei diritti dell'uomo e del cittadino: la coppia uomo e cittadino non è separabile. Il cittadino dispone sì di diritti inalienabili ed assoluti, ma il loro esercizio dipende strettamente dalla legge e quindi dalla nazione sovrana della cui volontà la legge si fa espressione. E' l'appartenenza alla collettività che, di fatto, segna l'identità politica dell'individuo: il cittadino esiste come tale grazie al vincolo primario che lo lega alla nazione. Ecco sorgere quello che è l’identità della nazione, cioè cittadini che possiedono una stessa cultura, lingua, costituzione e che condividono stessi valori. La cittadinanza allora parte dal collegamento allo Stato moderno, che è lo stato nazione, che presenta delle proprietà fondamentali, cioè; la sovranità e la territorialità. Molti studiosi Europei tra cui il filosofo tedesco Jurgen Habermas dichiara che la forma classica dello Stato nazionale oggi è in via di estinzione e tutto dipende dalla direzione verso la quale ci si muove; per cui è necessario spiegare il significato di “cittadinanza politica” e “identità nazionale”. La nozione giuridica di Stato implica tre fatti: oggettivamente riferisce alla sovranità interna ed esterna del potere statale; da un altro lato indica il territorio sottoposto a tale sovranità e socialmente indica i soggetti inglobati in questo territorio, detto popolo. Il popolo è il patrono entro la sfera territoriale dello Stato, delle situazioni giuridiche soggettive previste dall'ordinamento giuridico. Oggi nel linguaggio politico, i termini "popolo" e "nazione" vengono usati con equiparazione, invece il secondo ha sua connotazione socio-culturale, che indica sia una comunità politica sia una comunità caratterizzata da una specifica identità etnica o quanto meno linguistica, culturale e storica. Da questo ragionamento il filosofo J. Habermas fa dedurre che l’origine nazionale era attribuita dalle persone che miravano ad escludere ciò che era straniero da ciò che era proprio. Si ricorda che a un certo momento della Rivoluzione francese, la comunità politica si era identificata con la nazione, ed il riconoscimento dei diritti, che pure riguardava sia l'uomo che il cittadino, mediato dall'appartenenza alla comunità, e non un qualunque comunità anzi a quella nazionale. Il filosofo tedesco a proposito questo ragionamento, fa una spiccata distinzione tra “l’identità nazionale e cittadinanza politica”. La prima riferisce al sentimento di appartenenza etnica e culturale che invoca un omogeneità della discendenza o di uno stile di vita. La seconda indica comunità politica quale lo Stato come associazione di cittadini liberi e uguali che sono uniti liberamente a prescindere da qualsiasi criterio essi provengano, origine di nascita o residenza. La cittadinanza politica parte dal presupposto sul piano pubblico dell'autonomia individuale, che ha dato vita ai meccanismi della sovranità popolare, cioè all'auto-legislazione della collettività, che condivide una prassi democratica di partecipazione e comunicazione. Solo così intesa, come prassi collettiva finalizzata all'autodeterminazione, in una rete di rapporti d’uguaglianza di riconoscimento reciproco, la cittadinanza diventa uno status soggettivo caratterizzato dalla titolarità di diritti. Ancora una volta il filosofo tedesco ci illumina sostenendo che l’idea di nazione è stata un catalizzatore all'affermazione di una concezione tutto politico politica della cittadinanza che presuppone un buon grado di integrazione sociale, un luogo culturale comune tale da alimentare la solidarietà tra persone reciprocamente estranee: perchè per realizzare la trasformazione da vassalli a cittadini è necessario un momento forte di integrazione e mobilitazione politica. Tanto detto, però, il nesso tra ethnos e demos è, per Habermas, puramente provvisorio e contingente, poichè dal punto di vista concettuale l'aspetto giuridico-politico della cittadinanza deve essere tenuto distinto da quello socio-culturale, sebbene quest'ultimo -come si è visto- abbia avuto un ruolo determinante nel consolidamento del primo. La cittadinanza dunque, con il suo corredo di diritti, non è un concetto immaginario, ma va inevitabilmente contestualizzato alla comunità di appartenenza del soggetto, comunità formata da individui legati da rapporti di reciproco riconoscimento e fiducia. Da un lato, le società nazionali vanno facendosi sempre più complesse e disomogenee, soprattutto a causa dell'intensificarsi dei fenomeni migratori e dell'interdipendenza tra le economie dei diversi Stati; dall'altro, proprio la crescente integrazione economica e politica porta alla creazione di entità sovranazionali alle quali vengono devolute alcune prerogative tipiche della sovranità dello Stato. Il fattore di questo cambiamento è il processo di emersione di un ordinamento sovranazionale fondato sul diritto internazionale dei diritti umani. La protezione e promozione dei diritti umani, che trova il proprio chiaro fondamento nella Carta delle Nazioni Unite, ha portato ad un profondo cambiamento nella struttura dell'ordinamento e del diritto internazionale. N/B: La seconda ed ultima parte tratterà cosa prevede la legge Italiana per la cittadinanza e come si può ottenere la cittadinanza italiana. Francis Chinedu Manujibeya Assistenza alle gestanti e alle madri La legislazione nazionale specifica di assistenza alle gestanti e alle madri risale agli anni 20’ e 30’’, in particolare il regolamento generale per il servizio di assistenza agli esposti approvato con regio decreto 16 dicembre 1923, n. 2900; la legge 10 dicembre 1925, n. 2277, sulla protezione e l'assistenza della maternità e dell'infanzia e del relativo regolamento approvato con regio decreto 15 aprile 1926, n. 718; il regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798 sull'ordinamento dei servizi di assistenza dei fanciulli illegittimi abbandonati o esposti all'abbandono, affidati all'amministrazione provinciale, e del relativo regolamento di esecuzione approvato con regio decreto 29 dicembre 1927, n. 2822; e del testo unico delle leggi sulla protezione e l'assistenza della maternità e dell'infanzia emanato con regio decreto 24 dicembre 1934, n. 2316. Al decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 sul decentramento amministrativo, avrebbe dovuto seguire una legge quadro nazionale sull'assistenza, in mancanza solo alcune Regioni provvidero a legiferare. Si venne a creare una disomogeneità sia degli assetti organizzativi dei servizi predisposti a livello di territorio sia dei metodi di approccio rispetto agli interventi. La legge n. 142 del 1990 (norma di riordino delle autonomia locali) ha cercato di unificare le competenze assistenziali, trasferendole tutte ai Comuni; ma in seguito, il decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito con modificazioni dalla legge 18 marzo 1993, n. 67, ha ridato alle Provincie le funzioni assistenziali. La legge 8 giugno 1990, n. 142, infatti, ha stabilito il trasferimento ai Comuni delle funzioni assistenziali esercitate dalle province, funzioni concernenti: - i ciechi ed i sordomuti poveri rieducabili; - le gestanti e madri nubili e coniugate, comprese le attività dirette a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati; - i bambini esposti di cui non si conoscono i genitori; - i minori figli di ignoti o riconosciuti dalla sola madre; - i minori già di competenza dell'ex ONMI. Mentre numerose Province hanno provveduto a trasferire ai Comuni le funzioni assistenziali, attuando tempestivamente le disposizioni della legge 142/1990, altre Amministrazioni non vi hanno provveduto o hanno operato in modo scorretto non assegnando ai Comuni tutto il personale, tutte le strutture e attrezzature e tutti i finanziamenti. II Parlamento, invece di disciplinare compiutamente il trasferimento, ha stabilito all'articolo 5 del decreto-legge n. 9 del 1993, che fossero restituite alle Province le funzioni assistenziali nei seguenti termini: «Art. 5. (Servizi assistenziali). – 1). Le funzioni assistenziali, già di competenza delle Province alla data di entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n. 142, sono restituite alla competenza delle Province che le esercitano, direttamente o in regime di convenzione con i Comuni, secondo quanto previsto dalle leggi regionali di settore che le regioni approveranno entro il 31 dicembre 1993. 2). In ogni caso dovranno essere destinate risorse finanziarie in misura almeno pari a quelle effettivamente impegnate nel 1990, con l'incremento progressivo delle percentuali di aumento dei trasferimenti erariali per il 1991, il 1992 e il 1993». Le norme suddette hanno sollevato gravissimi problemi nel caso in cui le competenze di cui sopra sono rimaste assegnate alle Province . Circa l'assistenza alle gestanti e madri si segnala che molte (spesso si tratta di adolescenti) hanno l'esigenza di supporti particolari di natura socio-assistenziale allo scopo di provvedere non solo al riconoscimento del proprio nato, ma anche acquisire gli strumenti necessari per il proprio reinserimento sociale. Ciò premesso, appare evidente l'esigenza di unificare tutte le competenze assistenziali in un unico ente, il Comune che è a più diretto contatto dei cittadini. In tal senso è intervenuta la legge 328/2000 (legge di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali). Tuttavia il 5° comma dell’art. 8 della legge suddetta stabilisce che le leggi regionali attuative della legge 328/2000 disciplinano il trasferimento «ai Comuni o agli enti locali delle funzioni indicate dal regio decreto legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838 e dal decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 marzo 1993, n. 67». Pertanto, le Regioni possono affidare le attuali funzioni assistenziali delle Province ai Comuni oppure ad altri enti locali e cioè, ad esempio, alle stesse Province oppure a Consorzi fra Comuni e Province . In attesa delle leggi regionali sono state introdotte due importanti novità: ü il Fondo Nazionale per le politiche sociali, introdotto con la L.449/1997 (art. 59, comma 44) per promuovere interventi su tutto il territorio nazionale e per sostenere gran parte delle spese di natura socio-assistenziale a carico delle Regioni e degli enti locali; ü l’indicatore della situazione economica (ISE), introdotto in via sperimentale per tre anni (1999-2002) dalla L. 449/97, è un nuovo meccanismo per selezionare i soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate. Il D.Lgs. 109/98, modificato ed integrato dal D.Lgs. 130/00, definisce i criteri unificati per valutare la situazione economica di coloro che richiedono tali prestazioni e che quindi devono essere selezionati . Nella regione Lazio, attualmente, le competenze in oggetto sono del Comune. Istituti di accoglienza: Strutture che accolgono madre-bambino, aiutando le donne in stato avanzato di gravidanza o neo madri sole che si trovano a dover accudire uno o più figli piccoli in una condizione di particolare disagio sociale. 1) Centri diretti dalle suore di Madre Teresa di Calcutta: a) Casa di Allegria (Suor Mary) - via Igino Papa 236, 00168 Roma - tel 06 628227 b) Dono di Maria - zona San Pietro, Roma - tel. 06 69885072 c) Centro Tor Bella Monaca - via dell' Archeologia 157/A, 00133 Roma - tel. 06 2016284 d) Comunità di Accoglienza - via Monte del Gallo, Roma - tel. 06 39379047 2) Centro in parte sovvenzionato dal Comune: Un Sorriso Assoc.di Volontariato Contro L'emarginazione e La Solitudine 00182 Roma (RM) - Viale Castrense, 51 - tel 06 70491701 3) Villa Mater ad Mirabilis (Suor Luisa o Suor Luciana) - Via della Pineta Sacchetti 229, Roma - tel 06 3053187 4) Istituto San Giovanni Eudes (Suor Lucia) Via S.Giovanni Eudes 91, 00163 Roma - tel 06 66418800. 5)Casa di Accoglienza di Padre Pio per l'uomo solo Via Castel Guelfo, 55 Vitinia (Roma) tel 06 52370099 52373333, fax 06 52372463 6)Missionarie della Carità ospitano donne con bambini: a) "Casa di allegria" via S. Igino Papa 236, Roma tel 06-6282271 b) "Casa Regina della Pace" Via Torre Angela Vecchia,1 Tor Bella Monaca Roma tel 06-69885072 7)Centro di accoglienza Maria Consolatrice Via Torfanini, 27, 00188 Roma 06-33610076 8)Coop. l'Accoglienza, c/o la casa famiglia "Casa Betania" Via delle Calasanziane, 12 Roma tel. 06-61663172 9)Casa Luciana di Roma - Tel. e fax 0633611648 Casa Famiglia per ragazze madri italiane o straniere in difficoltà. La Casa ha come obiettivo la promozione integrale della persona, tenendo presente la sua situazione di provenienza:famiglia disgregata, sfruttamento, violenza, migrazione, diversità di cultura e di religione. 10)Casa Famiglia Covoni Angela Via A. Moscatelli 284 – Mentana Monterotondo (RM) Tel. 06 9090126 - Accoglienza minori e donne Posti disponibili: 5 - Centro diurno minori Posti disponibili: 40 (0-3 anni) Posti disponibili: 15 (3-18 anni) Attività ricreative Sostegno scolastico 11)Casa famiglia Tra Noi Via Machiavelli 25, Roma 06 77200309 - Fax 06 39387446 Accoglienza Posti disponibili: 15 12) Casa di pronta accoglienza Santa Caterina Labourè Via Carlo Emanuele I, 49 Roma tel. 06 7005507 Accoglienza anche per donne in stato di gravidanza e ragazze madri con bambini 0- 7 anni Posti disponibili: 8 nuclei 13) Casa famiglia Ain Karim Via S. Giovanni Eudes 95, Roma, tel. 06 66418800 Accoglienza per ragazze madri con bambini che non superano 1 anno Posti disponibili: 11 per nucleo 14) Casa L’ Accoglienza Via Monte del gallo 16, Roma tel.06 39379047, fax 06 39379047 Accoglienza per donne 18-40 anni in stato di gravidanza e donne in cerca di lavoro Posti disponibili: 4 15) Suore della Redenzione Mater Admirabilis Via della pineta sacchetti 229, Roma 06 3053187 - Fax 06 35507114 Accoglienza per ragazze madri con bambini 0-2 anni e donne in stato di gravidanza Posti disponibili: 10 16) La casa del povero Via Bovalino 38, Roma 06 20744076 Per ragazze madri con bambini (0-12 anni) e orfani Accoglienza Posti disponibili: 8 Distribuzione vestiario - Distribuzione pacchi cibo 17) Casa accoglienza per ragazze madri delle suore missionarie della carità Via Tor Angela Vecchia 1, Roma 06 2016284 Per ragazze madri con bambini (0-10 anni) - Accoglienza Posti disponibili : 15 per le donne, 20 per i bambini - Distribuzione medicinali - Distribuzione vestiario -Distribuzione pacchi cibo - Colonie estive 18) Casa Accoglienza madri-bambini Ponte Casilino Via Casilina Vecchia, 3 - 00182 ROMA tel./fax: 06.7011990 Contributi economici a favore delle madri in stato di bisogno: 1) L'indennità di maternità sostituisce la retribuzione per le lavoratrici dipendenti, autonome, parasubordinate assenti dal lavoro per gravidanza e puerperio dopo il 180° giorno ed è pari circa all'80 per cento della retribuzione media. 2) L'assegno di maternità è invece corrisposto a chi non ha diritto ad altra prestazione o, solo in parte, a chi fruisce già di tutela, ed è previsto per le lavoratrici (italiane, Ue o extracomunitarie con carta di soggiorno) poco tutelate, come nei casi di forte discontinuità lavorativa, di casalinghe o donne straniere. L’assegno di maternita’ è una misura di carattere economico concesso ed erogato dall’INPS . a) Destinatari: Le donne residenti, cittadine italiane o comunitarie ovvero in possesso di carta di soggiorno ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n.286 del 25.7.1998, per le quali sono in atto o sono stati versati contributi per la tutela previdenziale obbligatoria della maternita’ per ogni figlio o per ogni minore adottato o in affidamento preadottivo . b) Requisiti: specifica situazione lavorativa o assicurativa. c) Dove presentare la domanda: La domanda in carta semplice deve essere presentata presso l’INPS competente per territorio di residenza dalla madre. d) Quando presentare la domanda: La domanda deve essere presentata nel termine perentorio di sei mesi dalla data di nascita del figlio o dalla data di ingresso del minore nella famiglia anagrafica della donna che lo riceve in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento. e) L’importo, nella misura intera è di 1671,76 euro, nell’anno 2006 . 3) I Comuni di residenza erogano inoltre a madri italiane, comunitarie o extracomunitarie in possesso della carta di soggiorno, che non hanno diritto ad altra indennità di maternità e il cui reddito familiare non supera un tetto prestabilito, un assegno di maternità concesso dal Comune, ed erogato dall’ Inps . a) Destinatari: La richiesta deve essere presentata dalle donne residenti a Roma, cittadine italiane o comunitarie o extracomunitarie in possesso di carta di soggiorno (con l'ingresso nella Comunità Europea dei nuovi paesi : CIPRO, ESTONIA, LETTONIA, LITUANIA, MALTA, POLONIA, REPUBBLICA CECA, REPUBBLICA SLOVACCA, SLOVENIA, UNGHERIA, i cittadini dei suddetti paesi potranno presentare la richiesta senza carta di soggiorno solo per i parti che avverranno dopo il 1° maggio 2004 ) che hanno partorito o hanno adottato o ricevuto in affidamento preadottivo un bambino . b) Requisiti: · non avere copertura previdenziale (quindi essere casalinghe o disoccupate), oppure avere una copertura previdenziale inferiore € 289,31, in questo caso l'importo dell'assegno sarà corrispondente alla differenza fino a raggiungere €289,31; · non beneficiare dell'assegno di maternità di competenza dell'INPS con riferimento ai parti, alle adozioni o agli affidamenti pre-adottivi intervenuti successivamente al 1° luglio 2000 in base alla legge 488/99; · essere in possesso di risorse economiche familiari, calcolate in base all'indicatore della situazione economica (ISE) non superiori a € 30.158,78 (per le famiglie con 3 componenti). c) Quando presentare la domanda: La richiesta deve essere presentata entro 6 mesi dalla data del parto o dalla data di ingresso del bambino nella famiglia per i casi di adozione o affidamento preadottivo. d) Dove presentare la domanda: Occorre rivolgersi all'Ufficio Relazioni con il Pubblico del Municipio per richiedere l'elenco dei CAAF convenzionati. Ci si dovrà poi recare al CAAF prescelto, tra quelli in convenzione per essere assistiti nella compilazione del modello ISE e consegnare la richiesta. e) Importo:L'assegno consiste in un contributo di € 289,31 per cinque mensilità per un totale di € 1446,55. 4) Assegno per il nucleo familiare con almeno 3 figli minori: è una misura di sostegno economico ai nuclei familiari numerosi concesso dai Comuni ed erogato dall’INPS. a)Destinatari: I nuclei familiari composti da cittadini italiani, comunitari , extracomunitari in possesso dello status di rifugiato politico, residenti nel Comune di Roma. b) Requisiti: · composizione del nucleo familiare · la richiesta può essere presentata da uno dei due genitori di una famiglia con almeno tre figli minori, in possesso di risorse economiche da calcolare in base all’ISE non superiori a € 21.714, 31 c) Dove presentare la domanda: Occorre rivolgersi all'Ufficio Relazioni con il Pubblico del Municipio per richiedere l'elenco dei CAAF convenzionati. Ci si dovrà poi recare al CAAF prescelto, tra quelli in convenzione per essere assistiti nella compilazione del modello ISE e consegnare la richiesta. d) Quando presentare la domanda: entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento. e) Importo:L’assegno, se spettante nella misura intera, è pari a € 120,63 al mese per tredici mensilita’ per un totale di € 1.568,19 . 5) I Comuni e altri enti locali in alcuni casi integrano poi queste prestazioni con risorse proprie: nel 2002 il Comune di Roma aveva previsto l’elargizione, una tantum, di un contributo denominato “Mamma Card” . 6) Altre forme di sostegno riguardano l'abitazione: la Regione Lazio nel 2003 aveva aperto un bando per la concessione di un "Buono case" in favore di "ragazze madri con figlio non riconosciuto dall'altro genitore". Loredana Rosa Uliana Bambini senza diritti sono quelli che non hanno mai conosciuto un giorno di pace, che lavorano nelle condizioni più dure per le strade facendo accattonaggio con l'imperativo di raccattonare un minimo altrimenti sono botte, prostituendosi o negli scantinati dove viene prodotta roba contraffatta; che non hanno casa né famiglia, o che se ce l'hanno sarebbe meglio che non ce l'avessero. Picchiati, arruolati a forza, inviati per lo smercio di droga (pony drug), sfruttati nelle fabbriche, violentati, abbandonati. Lunga è la lista di quello che i bambini sono costretti a subire in tutto il mando, compresa questa civilissima Italia, dove "ufficiali" sono circa 24000 i minori a rischio. Cosa c’è di ineluttabile quando certi Stati arruolano nel loro esercito bambini che non hanno compiuto 10 anni di età? Quando si viene a conoscenza che 12.000.000 di profughi che esistono al mondo sono bambini? Quando molti Paesi “industrializzati” (compreso il nostro), che pur si avvalgono in gran parte di manodopera straniera a buon mercato, impediscono la riunificazione della famiglia per non avere “in casa troppi coloured”? Molto pochi sono i paesi in cui lo sfruttamento del lavoro minorile è diminuito nel corso di questi ultimi dieci anni. Alcuni indici sembrerebbero dimostrare che a livello mondiale la situazione dei bambini che lavorano è peggiorata: cresce il numero di popolazioni che vivono al di sotto della soglia di povertà, il che significa una pressione sempre maggiore nei confronti dei bambini costretti a lavorare per integrare il già magro bilancio familiare: se il numero dei bambini scolarizzati è aumentato, il numero di giovani che abbandonano la scuola è cresciuto di pari passo (fra questi è presente anche l'Italia), al punto che in alcuni paesi raggiungono percentuali pari al 50% e oltre. Inoltre la crisi economica mondiale accentua la ricerca di manodopera infantile perché è quella che costa di meno di tutti. I flussi migratori dovuti a cause economiche e politiche, l’esplosione urbana nei paesi del Terzo Mondo (fenomeno questo che oggi riguarda anche noi) spingono fuori dai tradizionali circuiti di protezione sociale un numero sempre crescente di bambini nelle bidonvilles o per strada costretti a darsi da fare per sopravvivere. Ma quanti sono? Nessuno è in grado di fornire delle cifre attendibili perché quasi tutti i sistemi giuridici proibiscono il lavoro minorile, che perciò si sviluppa clandestinamente. Del resto non esiste a livello internazionale un criterio di valutazione omogeneo del fenomeno e soprattutto i governi raramente si preoccupano di mettere in piazza i problemi che affliggono le popolazioni più povere. Da più di dieci anni le stime ufficiali dei governi raffrontate con quelle dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro denunciano una tendenza nettamente al rialzo del fenomeno: secondo le ultime rilevazioni del 2007 ("in Italia lavorano 144 mila ragazzi tra i 7 e i 14 anni e 31 mila di essi possono definirsi letteralmente sfruttati" fonte Istat 2006) di oltre 250 milioni così ripartiti: Asia 61% (153 milioni), Africa 32% (80 milioni), America Latina 7% (…). Ciò che balza agli occhi sono due aspetti del fenomeno che non fanno che aggravare la già difficile situazione dei lavoratori minorenni: una retribuzione infima · la violenza e · le precarie condizioni sanitarie. · Le punizioni e le violenze che i datori di lavoro sottopongono ai bambini superano ogni immaginazione: bisogna leggere i rapporti di Amnesty International sulla tortura per trovare situazioni paragonabili. In un villaggio del Burkina Faso, se i bambini scherzano tra loro durante il raccolto vengono puniti gettando loro del pepe negli occhi; in una fabbrica di tappeti dell’India, alcuni bambini che volevano tornare a casa sono stati appesi a testa in giù per delle ore (tutto ciò è documentato nel “Una manodopera sempre più sfruttata” di Michel Bonnet, Unicef). Queste pratiche sono troppo diffuse per poter essere classificate come eccezioni di qualche datore di lavoro sadico e le cause di un comportamento così largamente diffuso sono molteplici. Innanzitutto la scomparsa di legami di parentela tra datori di lavoro e bambini; poi il lavoro in subappalto che costringe i cosiddetti “padroncini” a una lotta per sopravvivere che inasprisce le loro reazioni; la malavita organizzata che ha un vero e proprio traffico di vendite di bambini e che in molti casi svolge con i suoi uomini una funzione di controllo. Spesso i diritti fondamentali della persona umana vengono ignorati: prostituzione, pornografia, schiavitù che consiste nello sfruttare il bambino per pagare i debiti dei genitori, oppure lavoro domestico. · Tre elementi contribuiscono a rendere sempre più precarie le condizioni di salute dei lavoratori minorenni: la tendenza ad aumentare la produttività del lavoratore che provocando inevitabilmente l’abbandono delle misure di sicurezza, moltiplica il numero degli incidenti; l’uso di prodotti chimici: da un lato moltissimi prodotti vietati nei paesi del nord vengono utilizzati senza problemi nel sud; dall’altro la volontà di aumentare la produttività spinge all’uso sempre maggiore di queste sostanze (è questo il caso di industrie come calzaturifici, oreficerie, tessili, ma soprattutto l’agricoltura); il ruolo della delinquenza organizzata nel mercato del lavoro, il quale “fornisce” bambini lavoratori, oggetto di un vero e proprio racket. C’è bisogno di ricordare il legame esistente tra il mondo del crimine, l’industria pornografica e lo sfruttamento dei bambini? Una riflessione nasce spontanea (non so se è anche la vostra): ma non ci stiamo abituando, neanche tanto lentamente, a situazioni che sebbene non siano proprio le stesse comunque vi si avvicinanno via via sempre di più? Scusate la digressione, riprendo. La consulente del Bureau International Cattolique de l’Enfance (B.I.C.E.), a Londra, la signora Sheila Davey, nella sua relazione su un’inchiesta, riguardante la pornografia puntualizza prima di tutto la differenza tra il molestatore o disturbatore sessuale del bambino e il pedofilo. Quest’ultimo, il più delle volte è un collezionista di materiale pornografico e non necessariamente un molestatore attivo. Questa distinzione è importante perché la pedofilia può essere arginata con più facilità rispetto alla produzione e al consumo di pornografia infantile. La pornografia è un particolare tipo di abuso sessuale. Il bambino può essere filmato o fotografato nudo in una varietà di atti sessuali con adulti, bambini e persino a volte con animali. Il fenomeno riguarda bambini appartenenti ai vari strati sociali anche se i soggetti più a rischio rimangono quelli dei centri più poveri: bambini abbandonati, orfani, ecc.. Il mercato della pornografia infantile si è diffuso in tutte le categorie sociali (sono nati casi in cui sono stati anche coinvolti organismi del tutto insospettabili). Ovunque esistono legislazioni in vigore ma sfortunatamente esse sono inefficaci. Un ostacolo considerevole all’efficienza delle leggi è la mancanza assoluta di mezzi tecnologici d’avanguardia che permettano un controllo e un aggiornamento delle tendenze del mercato pornografico. Ai bambini, inoltre, non viene dato tanto credito quanto ad un adulto. La testimonianza, durante un processo, di un bambino, è una fase estremamente delicata e va portata avanti con molta delicatezza: il bambino è emotivamente debole, facilmente influenzabile e purtroppo in molti processi si approfitta di questo. Il fatto che quasi tutti i governi non si siano affatto impegnati a seguire le indicazioni di documenti internazionali sulle diverse situazioni difficili che possono riguardare l’infanzia è indicativo della mancanza di volontà politica nel combattere tali situazioni. Anche da noi tali problematiche si stanno affacciando da qualche anno a questa parte con inaspettata violenza. Milioni sono i bambini condannati all’esilio e ai campi profughi. Il problema è presente nei paesi del Sahel in cui quella parte della popolazione rurale che ha ancora energie sufficienti cerca di sfuggire alla siccità, al deserto che si fa sempre più vicino e alle guerre sempre più frequenti; nei paesi dell’America Latina dove l’amerindo cerca un futuro da clandestino negli Stati Uniti; nel subcontinente indiano da dove si fugge per un lavoro, per fame, per ragioni politico-religiose o magari per una conflittualità che è sfociata in una vera e propria guerra o lotta intestina*. Molti bambini sono stati poi mandati come “punto di attacco”, per i loro parenti che sperano di poter in seguito beneficiare del principio della riunificazione delle famiglie: il loro destino è il campo profughi. "In tutto il mondo le persone costrette ad abbandonare le proprie case - i rifugiati ed altre categorie di migranti forzati - sono oltre 20 milioni, la maggior parte dei quali è costituita da bambini e donne"(UNHCR). L’Alto Commissariato per i rifugiati appoggia programmi educativi in 52 paesi: l’istruzione è vista come una possibilità in più per uscire dalla triste condizione di rifugiato. La fine della seconda Guerra Mondiale è stata proclamata ufficialmente nel 1945. Da allora, per la prima volta nella storia dell’umanità, le regole della guerra che i popoli dovrebbero rispettare sulla carta per risparmiare soprattutto i civili, bambini e colture, non sono state rispettate. Dal secondo conflitto ad oggi, la guerra non ha conosciuto stagioni e non è stata più confinata nei campi di battaglia facendo tante vittime civili quante militari, talvolta anche di più. Sul piano economico e sociale le guerre hanno in più come effetto quello di rendere ancora più poveri paesi già poverissimi a causa del drenaggio delle poche risorse economiche disponibili da parte dell’industria bellica a discapito dei programmi di sviluppo. I diritti del bambino sono assicurati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che nonostante i suoi innegabili meriti ha “poca” applicazione. E’ un fatto sconcertante che i tassi più elevati di aborti e di mortalità infantile siano rilevabili nelle aree dei conflitti non internazionali. Come possono riuscire a sopravvivere con un bambino in grembo fuggendo dalle zone in cui si combatte attraverso fetide paludi e giungle infestate dagli insetti? In molti paesi vengono addestrati bambini-soldati fin dalla più tenera età ad usare il fucile. Più sono piccoli, maggiore è l’utilità del minore nelle azioni di guerriglia, inviati sul fronte, contano i carri militari dei convogli nemici, stimano il numero dei soldati, portano messaggi in codice. Per questa ragione, quando cadono in mano agli avversari, sono sottoposti a torture, come degli adulti. Accanto a questo problema, resta quello del recupero fisico e psicologico di tutti quei bambini che il fucile non hanno imbracciato, ma che comunque hanno subito, a causa della guerra, traumi di notevole portata. Perché è forse questo l’aspetto più delicato della situazione: l’eco devastante di violenza e di paura va oltre la firma di trattati di pace. I contraccolpi psicologici sono maggiori di quelli fisici. Il terrore è una costante per molti bambini. Una delle tecniche più seguite dagli operatori sociali che si occupano del recupero di questo tipo di minori è quella di sollecitare il bambino a raccontare il vissuto, a rimuoverlo. Diversamente in alcuni casi, infatti, come è stato ve- rificato in clinica psichiatrica mediorientale, bambini di 10-11 anni cadono in una profonda depressione che può a volte condurli al suicidio. Se soltanto 1/10 delle somme che si spendono nel mondo in armi venissero impiegate per scopi di pace, milioni di bambini potrebbero sperare in qualche miglioramento del loro stato di salute e della loro educazione, in una parola potrebbero avere una qualità della vita incomparabilmente migliore, potrebbero uscire dal quotidiano inferno che è la loro realtà di oggi. Alcuni sostengono che, nel Terzo Mondo, una persona è già adulta a quell’età, ed è anche vero. In condizioni di vita particolarmente difficili e specialmente ai tropici, la gente cresce e matura prima. Entro i 14 anni il corpo è già sviluppato ed alcuni sono già diventati genitori. L’ultima situazione difficile che è rimasta da esaminare è il problema dell’abbandono. Secondo la definizione adottata da vari ONG, “ragazzo di strada è qualsiasi ragazzino per il quale la strada sia diventata la dimora abituale e/o la fonte di sussistenza, non sufficientemente protetto, controllato o indirizzato da adulti responsabili”. E’ nel Terzo Mondoche il problema assume i tratti più drammatici (ma qui in Italia contiamo di recuperare velocemente il gap negativo che ci allontana). E' il bambino che vive nelle grandi città, più del suo coetaneo delle zone rurali, a soffrire dei disagi di una società che sicuramente negli ultimi 20 anni si è sviluppata ad un ritmo mai così celere nella storia. Uno sviluppo abnorme dovuto soprattutto a fenomeni di sfrenata immigrazione interna, tipica dei paesi più poveri, di rapido aumento del numero delle nascite, di disgregazione delle strutture sociali e familiari. Questa situazione, pur presentando aspetti diversi a seconda delle aree geografiche, è tipica di tutti i centri urbani del Terzo Mondo. Gli effetti dei profondi squilibri socioeconomici tipici di queste realtà si riflettono sui gruppi sociali più spauriti, di cui i bambini sono il più numeroso e il più vulnerabile, e spesso danno luogo oltre che a stati di disagio anche a fenomeni di grave emarginazione. Sono 100 milioni di bambini per strada. Anche se la sequenza degli eventi che conduce un bambino sulla strada può essere fatta risalire a cause diverse, tutto alla fine si riduce ad una sola causa principale: la miseria. In Sud America, dove questo problema è acutissimo la “classica” sequenza degli eventi segue uno sviluppo di questo tipo: migrazione in città, estrema povertà nei bassifondi urbani, e disintegrazione della famiglia, che inizia per prima cosa con l’abbandono della famiglia stessa da parte del padre. A ciò fa spesso seguito un progressivo deterioramento dei valori morali, problemi di alcolismo, prostituzione, droga ecc... . La violenza è frequente nella vita dei bambini le cui famiglie cercano per sopravvivere in presenza di una o tutte queste condizioni, e costituisce una delle molle principali che inducono i bambini ad abbandonare le loro case in favore della strada. Oltre 80 milioni di ragazzi sotto i quindici anni vivono in condizioni di abbandono nei paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Questo nudo dato di base, fornito dall’Unicef, è sconvolgente. Questi bambini sono abituati a dormire negli angoli scuri della città se durante il giorno quello che guadagnano con i loro lavoretti e l’elemosina non basta, essi ricorrono ad altri sistemi per sopravvivere, furto, prostituzione, violenza. Nella strada imparano l’arte di arrangiarsi e assumono un comportamento antisociale, pieno di risentimento e di diffidenza, del resto comprensibile, nei confronti di una società dalla quale si sentono rifiutati. Ho fatto come si suol dire "a volo d'uccello" questa panoramica perché, seppur ancora con le debite proporzioni, mi sembra che per la prima volta, dal dopoguerra ad oggi, si possa fare per il nostro Paese una drammatica analogia. Nuove Frontiere ritiene che ci sia una emergenza minori e per questo porta avanti la campagna "per l'istruzione firma la petzione" al fine di sensibilizzare le forze politiche ed il governo. Gabriele Felice Alla ricerca della felicità regia di G. Muccino Chris Gardener è un giovane di colore, vive con la moglie in una zona popolare di S.Francisco, hanno un figlio di 5 anni. Le loro condizioni economiche sono critiche, lui tenta di vendere apparecchiature elettromedicali che ha dovuto acquistare anticipatamente indebitandosi, lei lavora in una tintoria. La loro precarietà è tale per cui quando gli portano via l’auto col carro attrezzi per divieto di sosta non possono più pagare la multa e la perdono. Ogni inconveniente anche banale può trasformarsi in un disastro per la loro sopravvivenza. Giorno dopo giorno la loro situazione peggiora sino al punto in cui non sono più in grado di pagare l’affitto di casa. Tutto questo distrugge anche il loro rapporto matrimoniale, infatti, lei soprafatta dalle difficoltà lo abbandona col figlio. L’implacabile legge del denaro e delle tasse travolge Chris che perde tutto e diventa insieme al figlio un homeless ossia un senza casa che dorme negli ostelli per poveri. L’unica speranza è quella di essere assunto come venditore di polizze assicurative (broker) presso una società finanziaria dopo sei mesi di stage non retribuito. Più che uno stage si tratta in realtà di un vero e proprio sfruttamento, vendere polizze senza alcun compenso. Chris ormai disperato non ha scelta, inizia la sua doppia vita di venditore modello in giacca e cravatta di giorno per trasformarsi il pomeriggio e la notte in padre amorevole ma barbone alla ricerca di un rifugio per la notte. Tutti gli averi di Chris sono contenuti in una sola valigia ed un solo abito. Per Chris così come per tutti gli altri cittadini americani disagiati non esistono case popolari, asili nido comunali, assistenza sanitaria gratuita, indennità di disoccupazione, cassa integrazione o altre forme di protezione sociale. Negli Stati Uniti, paese che ha imposto al mondo intero il suo modello economico basato sulla totale deregulation, sulla globalizzazione dei mercati, sul consumismo più sfrenato, sul fast food alla Mc Donalds, impero della grande finanza mondiale non esiste alcuna forma di protezione sociale, le spese mediche te le devi pagare di tasca tua con un’assicurazione privata, la pensione pure, la scuola per i tuoi figli pure, e via dicendo. Per dare un’idea di cosa significa questo modello sociale basato sul censo, basta considerare che per mantenere un figlio per un’anno presso una buona università come Stanford (vicino S.Francisco) costa almeno 50.000 dollari l’anno. Le scuole pubbliche esistono, ma sono considerate semplicemente un parcheggio per futuri delinquenti. Nell’attuale società nordamericana il modello di wellfare “società del benessere” basato sulla più equa distribuzione delle risorse economiche progettato dal grande economista Keynes e realizzato con il New Deal negli anni 30 dal miglior presidente americano F.D. Roosvelt, è ormai un ricordo. Il grande picconatore del capitalismo dal volto umano propugnato da Keynes fu Reagan negli anni ottanta. Nel film ambientato proprio nel 1981, non a caso appare in un telegiornale Ronald Reagan. Suo degno erede l’attuale presidente Bush junior ha annunciato di voler abolire l’ultima istituzione superstite creata da Roosvelt negli anni 30, l’istituto della pensione sociale quasi equivalente al nostro INPS. Questa è l’America spietata che Muccino ci racconta in modo scarno e rigoroso. In questo paese regna il darwinismo sociale, non c’è spazio per i perdenti, non c’è pietà per chi ha la sventura di nascere negro in un ghetto, non c’è futuro per chi non può pagarsi la scuola privata, non c’è pietà per chi si assenta per malattia dal lavoro che può essere licenziato a totale arbitrio del datore di lavoro, la precarietà è totale. Molti critici hanno entusiasticamente plaudito a questo film paragonandolo persino a capolavori del neorealismo italiano come Ladri di biciclette oppure a Umberto D., il film di Muccino, sebbene autentico non può essere tuttavia paragonato a quei capolavori. Vorrei in ogni modo ricordare che nel 1992 il regista James Foley realizzò un film di denuncia della società americana ben più crudo e terribile. Il titolo originale era Glengary Glen Ross tradotto in Italia col titolo “Americani”. Si narrava la storia di un gruppo di venditori di una società immobiliare (interpreti Al Pacino, Alan Arkin, Kevin Spacey. Jack Lemmon) in procinto di essere licenziati se non fossero riusciti a vendere entro due giorni una proprietà immobiliare che era in realtà un bidone. Messi l’uno contro l’altro e contro il mondo intero in questa battaglia della sopravvivenza, questi uomini daranno il peggio di se ricorrendo alle peggiori infamie. Insomma la competizione esasperata non giova affatto alla società ma precipita gli uomini nell’abiezione. L’America d’oggi non è cambiata dai tempi del Far West o della corsa all’oro, la legge del “tutti contro di tutti” è sempre in vigore. “Alla ricerca della felicità” è un altro modo per dire “alla ricerca di un diritto perduto”, per Chris come per milioni da altri cittadini americani e del mondo intero, la ricerca della felicità è l’aspirazione ad un diritto fondamentale, il diritto al lavoro, il diritto a condizioni di vita dignitose per se e la propria famiglia, un diritto che purtroppo è negato a tanta parte dell’umanità non solo negli USA. Nel nostro paese così come in tutta l’Europa, assistiamo alla pericolosa rincorsa del modello darwinistico americano, una società spietata, un’isola dei famosi, però vera, in cui le enormi disuguaglianze sociali distruggono la coesione e la solidarietà sociale, in cui impera la violenza, una società che ghettizza le minoranze, che sottrae ricchezze concentrandole nelle mani di pochi, una società egoista ed indifferente che produce danni ambientali gravissimi. Anche se la vicenda di Chris (tratta da una storia vera) appare edulcorata da un lieto fine per esigenze commerciali come tutte le favole americane, non dobbiamo dimenticare che per uno che ce l’ha fatta ce ne sono altri cento che hanno perso ma i perdenti si sa, non fanno mai storia. Luciano Alberghini Cari amici, dopo tanti sforzi nuovefrontiere è finalmente operativa e pronta a promuovere con fatti concreti l’integrazione tutelando gli immigrati, tutti i minori e le donne alle prese con una gravidanza difficile residenti nel territorio di Roma e provincia. Ma non solo, nuovefrontiere vuole essere anche un laboratorio di idee atte a migliorare la promozione sociale per la integrazione, la cooperazione e lo sviluppo dei popoli. Tra le attività avviate sottolineiamo in particolare la campagna "Per l'istruzione firma la petizione", gli sportelli on-line per donne in gravidanza in difficoltà e gli extra-comunitari che vogliono aprire un'azienda o un'impresa, il laboratorio delle idee (da completare con ulteriori attività) Ma questo è solo l’inizio e non vogliamo fermarci qui. Abbiamo quindi bisogno del vostro aiuto per incrementare il numero di iniziative e l’efficacia di quelle già esistenti. Come? Acquistando il diritto a comparire sulla nostra newsletter e rivista e sul sito di nuove frontiere. La community di nuove frontiere è infatti in continua crescita (fra numero utenti sito, associati e iscritti alla community, tocchiamo i 5000). Sin dall’avvio di nuove frontiere l’attenzione verso gli aspetti di comunicazione sono stati prioritari, riteniamo infatti che gli obiettivi dell’associazione possono essere raggiunti non solo attraverso iniziative concrete ma anche attraverso una capillare azione di comunicazione e sensibilizzazione della popolazione locale. Ecco il perché della nostra newsletter, rivista online, della presenza dell’associazione in diversi programmi radiofonici. A breve verrà trasmessa su Radio Vaticana un'intervista che il presidente ha rilasciato giovedì scorso. Altri contatti sono in corso con radio e tv locali. Noi restiamo come sempre a vostra completa disposizione per qualsiasi informazione necessaria. Donika Lafratta

fonte: Nuove Frontiere


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