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Nerozzi Le bandiere, le cose concrete e i rapporti di forza
9.12.2007

Nerozzi Le bandiere, le cose concrete e i rapporti di forza

Ddl sul Welfare: a proposito della fiducia. Durante e dopo l’approvazione alla Camera, con la fiducia, del provvedimento che recepiva il protocollo su welfare e pensioni, si sono levate a sinistra forti proteste per un esautoramento del Parlamento, con critiche decise nei confronti di Confindustria e velate (ma poi neanche tanto) nei confronti delle confederazioni. Una vicenda che richiede qualche riflessione e qualche precisazione da parte nostra. Per dare un giudizio su quanto è accaduto io credo sia necessario fare qualche passo indietro.
A giugno la Cgil aveva chiesto con forza al governo di avanzare una proposta che fosse condivisa da tutta la coalizione. Noi, tutto il sindacato, pensavamo che i numeri della maggioranza, soprattutto al Senato, richiedessero una preparazione accurata per costruire il consenso necessario. Così non è stato e questo è stato il primo errore del governo e dei partiti della maggioranza: si poteva, anzi, si doveva intervenire nella costruzione della proposta. Dopo, una volta raggiunto l’accordo, intervenire era oggettivamente assai più complicato.
Una volta siglato il protocollo, ci sono state le legittime prese di posizione delle forze politiche. Dalla sinistra, ma anche dalla parte più moderata della maggioranza (ricordo solo le posizioni di Sdi e Rosa nel pugno). Poi i lavoratori e i pensionati hanno votato. Oltre cinque milioni di persone che hanno espresso il loro parere sull’accordo. E il loro giudizio è stato chiaro: più di quattro su cinque hanno detto sì. È stata una grande prova di democrazia. Non tenerne conto nei propri ragionamenti politici porta al rischio di un’idea di democrazia per cui le persone contano solo se ti danno ragione, idea che ha come pendant quella dei "luoghi simbolo", un’idea "aristocratica" per cui ci sono lavoratori che valgono di più e altri che valgono di meno. Siamo, più o meno, alla teoria delle avanguardie che pensavamo appartenesse più alla memoria che alla realtà quotidiana.

Dopo il referendum, il governo ha fatto due modifiche al protocollo: le ha discusse con i sindacati e con Confindustria e c’è stata un’intesa su di esse. Dopo tutto ciò la palla è passata al Parlamento. Tutto quello che è successo da quel momento in poi fa emergere tre questioni. La prima è che l’autonomia e la sovranità del Parlamento non sono state messe in discussione. Noi non abbiamo mai pensato che non si potesse intervenire. Né abbiamo chiesto che non lo si facesse. Abbiamo solo chiesto che, se ci fossero state modifiche, il governo, in quanto contraente del patto con le parti sociali, riconvocasse queste ultime. Se no si sarebbe dimostrato parte inaffidabile e tutti sanno che il cardine delle relazioni sindacali è l’affidabilità degli interlocutori. Allo stesso modo noi, se avessimo perso nel referendum, avremmo dovuto rinegoziare l’intesa.
Ma, seconda questione, la sovranità del Parlamento vale alla Camera come al Senato. E se al Senato un emendamento della parte moderata del centrosinistra (votato magari anche dal centrodestra) avesse ripristinato ad esempio lo scalone o avesse eliminato la garanzia del rendimento delle pensioni dei giovani al 60 per cento, anche quella decisione avrebbe espresso la sovranità del Parlamento.
E quindi, terza questione, bisogna sempre tener conto dei rapporti di forza. Il che mi porta alla conclusione – che noi avevamo espresso subito, chiedendo a tutti senso di responsabilità – che quello da noi raggiunto era l’unico accordo possibile. Anche noi avremmo voluto di più. Ma quello era il punto più alto cui si potesse arrivare, visto che c’è parte del centrosinistra che l’ha accettato controvoglia, non condividendolo. Se non si tengono sempre ben presenti i rapporti di forza, il rischio è quello di fare propaganda.
Fin qui sul metodo. Ma io vorrei discutere anche sul merito. Se l’abolizione dello staff leasing è cosa politicamente molto apprezzabile, essa riguarderà mille persone; e in cambio c’è la reintroduzione del job on call nei settori deboli del turismo e del commercio, che riguarda un po’ più di mille persone. E anche sui lavori usuranti, è vero che è stato rimesso il tetto delle 80 notti ma è stato rimesso anche il riferimento a quanto prevede la contrattazione nazionale che era stato fatto saltare e che invece è una garanzia forte per i lavoratori.
Anche qui, più delle bandiere contano le cose concrete. Che sono quelle che i lavoratori più apprezzano. Non è un caso infatti che nelle recentissime elezioni delle rsu del pubblico impiego la Cgil e complessivamente il sindacalismo confederale crescano, mentre il sindacalismo autonomo e corporativo ristagna, e l’area ultradicale indietreggia. Anche su questo bisognerebbe riflettere.
Non sto a dire che va tutto bene e non ci siano problemi. Le condizioni salariali sono quelle che sono e per questo a Milano abbiamo varato una piattaforma che mette al centro le retribuzioni di chi lavora. Sono tanti i lavoratori senza contratto e per questo abbiamo detto che, se non ci saranno gli accordi, faremo uno sciopero generale. Ma c’è un consenso al sindacato unitario e al suo lavoro che è anche una ricerca di coesione sociale, di stabilità, di certezza, di sicurezza. Se non tutta, almeno gran parte della nostra platea questo ci chiede. E ci conferma fiducia, quando andiamo avanti in queste scelte. Compresa la scelta unitaria.
Dopo la vicenda del protocollo sul welfare alcuni autorevoli economisti di centro, come la signora Kostoris, parlano di una concertazione più debole. Là dove la concertazione è più debole, come in Francia, ci sono gli scioperi più duri e lunghi. La concertazione forte dà coesione sociale, unità, identità. E io credo che di questo abbia bisogno oggi il paese. Anche perché gli scioperi sono importanti – li abbiamo fatti, li facciamo e li faremo quando servono – ma costano sacrifici ai lavoratori. Non sono indolori. Non sono un gioco.

Paolo Nerozzi

fonte: http://www.tfrnewscgil.it


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