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Verona, pollice verso (di Antonio V. Gelormini) |
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7.05.2008
Giorni duri per la città scaligera. Rogne e situazioni inquietanti vengono su, una dopo l’altra, come le ciliegie. Riprovazione, imbarazzo e sconcerto esondano dopo l’imperversare di alcune frange di cittadinanza locale, verso cui forse, tolleranza prima e timore di confronto poi hanno reso difficile la gestione di forme evidenti di disagio diffuso; degenerate successivamente in crudeli atti di violenza sociale. In un contesto, pure, tra i più ricchi e più produttivi del Paese.
Nella città dell’Arena, del melodramma e del romanticismo più classico, la vita di Nicola Tommasoli va in fumo a pochi passi dal balcone di Giulietta e Romeo. Là dove venivano cantati i versi più sofferti di un giovane amore tragico e impossibile, una moderna barbarie cancella le speranze di un ventinovenne di provincia. In un allucinante sfogo di disprezzo, tra calci, pugni e insulti. Nemmeno il tempo di una sigaretta.
C’ è chi ha parlato di un paradossale deficit di cultura, proprio nella città vissuta dall’immaginario collettivo come tra quelle più prodighe. Deve essere vero se, quasi nelle stesse ore a Manfredonia, la roccaforte federiciana sul mare del Gargano, altri veronesi con altrettanto disprezzo e disabituati a trattare con i fanti, non trovavano di meglio che sbeffeggiare i “santi terroni”, dagli spalti tifosi di una curva di ultas. In un offensivo e blasfemo pestaggio verbale, capace di incendiare scintille violente incontrollabili.
Deve essere proprio vero che alla base di tanta assurdità ci sia un mostruoso vuoto di cultura. E c’è da pensare a una frustrante impotenza se nella città del pandoro, non riuscendo ad emulare il capolavoro napoletano di un intero stadio San Paolo, che rispose alla provocazione gialloverde del “Vesuvio pensaci tu” con l’ irripetibile e stratosferico sberleffo: “Giulietta era zoccola”, c’è chi non trova di meglio che prendersela con Padre Pio, il terrone in Paradiso.
Un terrone che avrebbe abbracciato con forza, senza fargli proferire parola, Sergio Dalle Donne, il papà del “Raffa” (Raffaele, uno dei cinque aggressori di Nicola). Il custode del seme del riscatto, per una città smarrita e indurita nei sentimenti. Un uomo capace di piangere, di pensare all’atra famiglia e di dire, tra le lacrime: “Vorrei essere il papà della vittima anziché il padre di mio figlio”. Un gladiatore, che riporta il pollice in su, di un’arena non più usa a farsi carico del dolore altrui.
(gelormini@katamail.com)
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