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TUTTE LE OPPORTUNITÀ DEL TRATTATO DI LISBONA
1.06.2008

COGLIERE TUTTE LE OPPORTUNITÀ DEL TRATTATO DI LISBONA. Parlando a un convegno che si è tenuto all'Università "La Sapienza" di Roma sulle prospettive dell'Unione Europea dopo l'adozione del Trattato di Lisbona, il presidente della Delegazione italiana nel Gruppo socialista al Parlamento europeo, Gianni Pittella, ritornando all'occasione mancata dall'Europa di dotarsi di una vera e propria Costituzione, ha riflettuto sul fatto che "a pesare in quella fase non fu tanto il rifiuto di una maggiore unità politica, ma la pressione costante di una sottile e penetrante campagna sostanzialmente anti-europeista". "Ci furono - ha notato Pittella - alcuni governi nazionali che ritennero di individuare nella Unione il capro espiatorio a cui addebitare gli insuccessi delle rispettive politiche. Ma quegli anni tra il 2001 e il 2005 furono nondimeno anni di grandi passi in avanti per l'Europa, basti pensare all'allargamento ai dieci paesi dell'Europa centrale e orientale e alla moneta unica". Per il futuro, Pittella si è detto fiducioso sui risultati che potranno venire dalla nuova architettura istituzionale disegnata dal Trattato di Lisbona (peso maggiore alle assemblee elettive comunitaria e nazionali, superamento del modello di presidenza semestrale a rotazione del Consiglio e personalità giuridica dell'Unione) e da un'Europa i cui stati membri possano eventualmente viaggiare a velocità diverse.

"Come si è fatto per l’adozione della moneta unica - ha detto - si faccia ora per la politica di difesa, per la politica estera, per la sicurezza, per la giustizia, per i diritti fondamentali: gli stati che vorranno spingere in avanti l’asticella della sovrannazionalità non si facciano remore." Pittella ha concluso il suo intervento auspicando che le forze politiche italiane colgano le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del prossimo anno come un'occasione per mettere al centro dell'agenda politica nazionale le sfide europee e non solo per contare le proprie forze.

Qui di seguito il testo dell'intervento:

"L’Europa avrebbe avuto bisogno di una Costituzione, di un’anima politica, di una comune base di valori condivisi, di una mission unica acquisita e riconosciutale in quanto soggetto unitario delle relazioni internazionali. Il Consiglio di Bruxelles, che ha di fatto chiuso il semestre tedesco di presidenza, ci ha consegnato invece un Trattato, sottoscritto poi a Lisbona poche settimane dopo, frutto di ulteriori evitabili compromessi al ribasso. Sia chiaro che nessuno pensa di sminuirne il valore, amplificato per altro dalla gravità dello stallo in cui l’Europa si è trovata inghiottita dopo i referendum del 2004. Probabilmente lo sbocco individuato a Lisbona rappresenta il massimo risultato conseguibile allo stato delle cose, e tuttavia quando, dopo l’11 settembre 2001, i Capi di Stato e di Governo decisero a Laeken di avviare il percorso costituente (e lo fecero utilizzando per la prima volta formalmente il termine "Costituzione") pareva schiudersi di fronte all’Unione Europea ben altro futuro. Dimenticare questo punto di partenza, non ci aiuterebbe a comprendere a fondo cosa sia successo nel Vecchio Continente negli ultimi 4 anni.

Una Costituzione è molto più di un trattato o di una somma di trattati. Già il termine in sé ha una fortissima valenza evocativa, suscita emozioni, offre una cornice storica e morale alle regole di convivenza civile di un demos e a quelle di funzionamento di una architettura istituzionale. E anche le modalità con cui quel Testo fu redatto sono passate alla storia. Tutti i lavori pubblici e pubblicati sui siti istituzionali in tempo quasi reale – a differenza degli oscuri mercanteggiamenti che animano storicamente le maratone negoziali europee -, possibilità per i cittadini di partecipare ai lavori di elaborazione e critica, grande coinvolgimento di tutte le rappresentanze – sociali, nazionali, istituzionali, culturali, economiche e politiche – attraverso la istituzione di una apposita Convenzione. Quella scelta colse un punto essenziale: la necessità di superare una certa distanza tra l’Europa e l’opinione pubblica, di invertire un modello in cui un soggetto decisore quasi senza volto e non direttamente rappresentante dei cittadini finisse poi con il decidere o influenzare le politiche pubbliche. La Convenzione poteva rappresentare, e in quel clima così nacque, un nuovo modo di intendere la dimensione politica sovrannazionale. E così, tra il 2000 e il 2004, l’Europa conobbe la moneta unica, il grande allargamento, l’idea di una Costituzione, una Convenzione partecipata per scriverla. Sono passati pochi anni da quella data, ma la sensazione è che ci si riferisca completamente ad un’altra stagione politica, lontana magari decenni. In questo tempo al contrario, tutto sommato breve, quella spinta è andata affievolendosi sotto la pressione costante di una sottile e penetrante campagna sostanzialmente anti europeista condotta, in primis, da tanti governi nazionali che hanno ritenuto utile e strumentale individuare nella Unione il perfetto capro espiatorio a cui addebitare gli insuccessi delle rispettive politiche nazionali. Le drammatiche sfide del complesso e tormentato mondo di oggi, hanno messo l’Europa di fronte ad un bivio: o essa si sarebbe dotata della necessaria robustezza politica per affrontarle, o si sarebbe condannata all’irrilevanza, all’insufficienza, alla marginalità politica in quanto esclusivamente area di libero scambio a massimo grado di integrazione monetaria. Ciò viene ancor prima della constatazione, elementare ma non per questo banale, che senza un nuovo quadro di regole di funzionamento poste ad arbitrare in maniera efficace il processo di assunzione delle decisioni in un club di 27 paesi, questa costruzione politica oltre che incompiuta avrebbe dovuto anche ufficialmente dichiarare la propria impotenza.

Forse questo, almeno in parte, è stato evitato grazie ad un accordo in extremis che, dal 2014, recepirà in alcuni campi e per alcuni processi decisionali, la regola della doppia maggioranza. Certo, non è la ricetta che serviva all’Europa per superare la situazione di stallo politico apertasi dopo il fallimento dei referendum costituzionali, ma è pur sempre un timido segnale positivo da cogliere e valorizzare. Anche se, e di questo ne siamo fermamente convinti, l’Unione Politica con una Costituzione propria avrebbe rappresentato, 60 anni dopo la CECA, una risposta di egual spessore ed intensità emotiva alle esigenze e alle inquietudini dei tempi che ci è dato vivere oggi. Ecco perché è stato ed è sbagliato leggere il dato dei referendum di ratifica di Francia e Olanda come un rifiuto dell’Europa. Credo che invece tali dati possano interpretarsi come un rifiuto di questa Europa. Dell’Europa impotente, dell’Europa che promette e non mantiene, dell’Europa degli egoismi nazionali a discapito del progetto comune, dell’Europa priva di comuni politiche economiche, sociali, priva di una voce sola in politica estera e di un esercito in grado di portare stabilità e pace giusta laddove ve ne sia bisogno e di concerto con le Nazioni Unite. E purtroppo l’esito del Consiglio di Bruxelles non coglie affatto questo punto, anzi, al contrario, offre una risposta minimalista e riduttiva ad istanze invece enormi, storiche, per alcuni aspetti rivoluzionarie. Si, perché sarebbe stato rivoluzionario per gli stati membri cedere ulteriore potere all’assetto federale e sovrannazionale in nome di un interesse comune più alto, non conservarlo gelosamente.

Quando l’Europa ha saputo andare oltre gli interessi nazionali, la storia insegna, alla fine tutti i paesi protagonisti delle scelte coraggiose assunte hanno potuto trarre giovamento dal complessivo rafforzamento politico ed economico dell’intera area. Ciò è valso per la Ceca, per la realizzazione del Mercato Unico, per l’integrazione monetaria dallo SME all’entrata in vigore dell’Euro. Con il Trattato di Lisbona, dal punto di vista dell’architettura istituzionale, il peso maggiore riconosciuto alle assemblee elettive comunitaria e nazionali, il superamento del modello di presidenza semestrale a rotazione del Consiglio e la stessa personalità giuridica riconosciuta all’UE in quanto tale, pur rappresentando un risultato complessivo comunque importante, non appaiono essere elementi dirimenti ai fini del disegno più generale.

Ed in verità, al di là delle tecnicalità, è proprio questo l’aspetto più preoccupante dell’intera vicenda: il profilo generale dell’Unione e l’approccio culturale e politico di molti paesi rispetto ad una dinamica vera di approfondimento dell’integrazione, sono stati senza dubbio condizionati in negativo da ripiegamenti nazionalistici e calcoli di convenienza contingente. In tale ottica, sintomatica è apparsa la scelta di impedire l’istituzione di una vera figura di Ministro degli Esteri europeo che avrebbe rappresentato l’UE nei consessi internazionali. L’Europa già parla "con una voce sola" in seno all’Organizzazione Mondiale per il Commercio, con risultati positivi che sono sotto gli occhi di tutti. Rappresentare circa quattrocento milioni di persone, uno dei mercati uniti più vasti della storia, è stato ed è certamente diverso – in termini di incisività - dall’avere i rappresentanti di singoli stati nazionali al tavolo delle trattative con Stati Uniti, India, Cina, Brasile. Questa formula si sarebbe dovuta estendere all’Onu, anzitutto, superando l’antistorica e annosa questione della disparità tra paesi europei che godono di un seggio permanete in Consiglio di Sicurezza, e paesi europei che vi partecipano a rotazione ogni diverse decine di anni. Di fronte ai grandi dossier con cui oggi si misura la comunità internazionale – Iran, proliferazione delle armi non convenzionali e nucleari, stabilizzazione del medioriente, relazioni Stati Uniti-Russia, solo per fare qualche esempio – attribuire un ruolo forte e coeso all’Unione Europea e alla sua storica e consolidata vocazione stabilizzatrice avrebbe rappresentato certamente una garanzia maggiore nella costruzione di un futuro di pace e governo multipolare del mondo.Di ugual tenore, e gravità, la scelta di non inserire nel trattato alcun riferimento all’inno e alla bandiera, nonché di bandire il termine "Costituzione" dai documenti conclusivi.

Su questo aspetto forse occorre soffermarsi.


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