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L*arrocco dei tartari (di Antonio V. Gelormini)
28.07.2008
Gli ultimi pugni chiusi ad essere celebrati con qualche dignità erano stati quelli di Tommie Smith e John Carlos sul podio olimpico di Città del Messico, nell’ottobre del 1968. Quelli ostentati ieri a Chianciano sanno invece di patetico, rasentano il ridicolo, ma testimoniano un dato di fatto ineccepibile: Rifondazione Comunista esce dall’ambigua ambizione bertinottiana di provare ad essere forza “di lotta e di governo”. Prende il largo dagli approdi governativi e sceglie di aggrapparsi ai relitti di una lotta di classe, dai contorni identitari nostalgici e piuttosto decadenti.

Ferrero e compagni hanno deciso l’arrocco e si preparano a presidiare la fortezza-partito in strenua solitudine. Unico baluardo di orgoglio, ancora apprezzato, nel microcosmo intellettuale e proletario di un anacronistico pensiero comunista. Come gli ufficiali nel deserto di Buzzati, il nuovo gruppo dirigente si appresta a dare senso all’attesa fatale, con la testa rivolta rigorosamente all’indietro, verso icone di sale come Marx, Lenin o Trotsky. Lo sguardo è sorridente, quasi beffardo, ma nervoso. E tradisce l’ansia per l’incursione finale e liberatoria, che renda merito alla pervicace testimonianza d’azione e ne perpetui l’improduttiva fedeltà ideologica.

Che il nuovo gruppo dirigente si predisponga a combattere fantasmi è sottolineato con stizzita provocazione da uno sconfitto, ma battagliero, Nichi Vendola: “Il documento della maggioranza, che viene fuori da questo congresso, si apre indicando come avversario il governo ombra di Veltroni. Il nostro, invece, si apre indicando come avversario il governo”. E poi ha aggiunto: “Noi non intendiamo abbandonare la battaglia, che non è equilibrio di potere in Rifondazione, ma la ricostruzione di una sinistra che parla al Paese”. Dando il via alla sua corrente “Rifondazione per la sinistra”, pronta a mobilitarsi in tempi brevi forse già a settembre.

Bandiera rossa esaurisce la sua carica propulsiva di riscatto e di speranza, per diventare strumento di minaccia congressuale. “Un brutto spettacolo”, ha chiosato un deluso Fausto Bertinotti. Le note dell’Internazionale perdono accento intercontinentale, per assumere toni nazionalistici ed autocelebrativi di scarsa tenuta e di corta prospettiva. Da domani, meno Europa, meno global e meno tv. Locale è meglio, quindi più sezioni, più patronato e un sano ritorno al conflitto, che come ha indicato Angela Scarparo, compagna del neo-segretario: “Va di nuovo provocato e non più solo gestito”.

La risposta dalle stanze del governo non si è fatta aspettare. Mentre a Chianciano celebravano la svolta, salutando coi pugni tesi il nuovo segretario, Paolo Ferrero, la maggioranza parlamentare ha dato il via allo scempio della legge sui precari e il ministro Tremonti ci mette il carico, blindando il decreto “salvaPoste”. Tanto per far capire che a provocare conflitti si è bravi in tanti. Mentre a saperli gestire, molti di meno. Forse, davvero in pochi.

(gelormini@katamail.com)


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