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La piazza non arruoli il Presidente (F. Geremicca da La Stampa) |
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12.02.2009
Sarebbe ingenuo considerare sopite e ormai alle spalle le fortissime
tensioni sviluppatesi intorno al destino di Eluana Englaro e
tracimate nei giorni scorsi fino all'aspro scontro che ha visto
contrapposti il capo del governo e il Presidente della Repubblica.
È un fatto, però, che la giornata di ieri sia stata segnata da chiari
segnali distensivi, e che l'appello di Giorgio Napolitano per
una «sensibile e consapevole riflessione comune» sembra esser stato
accolto tanto dalla maggioranza di governo che dall'opposizione. E
così, se Gianfranco Fini aveva già fatto sapere quale fosse il suo
pensiero sul conflitto istituzionale apertosi, ieri è stata la volta
di Umberto Bossi, che è tornato sulla questione, definendo il Capo
dello Stato «una figura di garanzia». Certo, ha annotato il leader
leghista, «la lettera su Eluana è stata un errore, ma è giusto che
faccia da scudo al potere di decretazione». La tregua è forse
forzata, la convinzione che regga è probabilmente fragile e nulla
esclude che ci si ritrovi, di qui a qualche giorno, nel fuoco di un
nuovo conflitto: eppure, tutto ciò premesso, sarebbe irresponsabile
non cercare di consolidare - nelle aule parlamentari, nel rapporto
tra istituzioni e perfino nel Paese, nei giorni scorsi spaccatosi a
metà - il rasserenamento che pare all'orizzonte.
È proprio tenendo d'occhio questo obiettivo che è forse opportuno
segnalare il crescere di un rischio: nuovo per l'appena avviata
legislatura, ma non certo inedito nello stile politico di questa
sgangherata Seconda Repubblica. Il rischio, per dirla in sintesi, è
nella tentazione di «arruolare» il Capo dello Stato in uno degli
schieramenti in campo, di farne la punta di diamante di una sorta di
nuovo «antiberlusconismo costituzionale» e di «scalfarizzare» (come
ha annotato con felice neologismo l'onorevole Rao, dell'Udc) un
Presidente della Repubblica dal quale - oggi più che mai - è lecito
attendersi che continui a essere quel che fino ad oggi è stato:
una «figura di garanzia», come appunto ricordato ieri da Umberto
Bossi.
Nella sua pragmatica saggezza, Carlo Azeglio Ciampi amava ricordare
che la forza di un Presidente della Repubblica non è tanto nei suoi
poteri (assai limitati e, come si è visto, perfino discussi) quanto
nella sua popolarità : una popolarità che per tutti i presidenti è
spesso andata oltre i confini dello schieramento politico-
parlamentare che lo aveva eletto e che ha sempre avuto la sua radice
nell'imparzialità che ne ha segnato l'azione e nella funzione di
garanzia che gli veniva quindi riconosciuta. Non c'è Presidente che
non abbia rinsaldato la propria popolarità muovendosi, appunto, lungo
questi due assi (tracciati, per altro, dalla Costituzione). Sono le
linee guida che hanno mosso Napolitano dal giorno dell'insediamento a
oggi: perfino con qualche attenzione in più da parte del Presidente,
visto che i gruppi parlamentari dell'allora Casa delle libertà si
opposero alla sua elezione. I risultati del lavoro svolto sono oggi
sotto gli occhi di tutti: non c'è sondaggio che non confermi la
fiducia crescente dei cittadini verso Napolitano. E con percentuali
assai più alte rispetto allo schieramento che lo volle al Quirinale.
L'aver assolto al mandato lungo quelle linee guida (imparzialità e
funzione di garanzia per tutti) si rivela oggi scelta non solo felice
ma da preservare con ogni sforzo. Il silenzio e gli appelli a un
confronto «sensibile, consapevole e comune» con i quali il Presidente
ha risposto perfino alle offese di cui è stato fatto oggetto negli
ultimi giorni, sono lì a testimoniare quanto la barra del Capo dello
Stato sia rimasta ferma e dritta: nessuna concessione a chi vorrebbe
farne l'alfiere di un rinnovato scontro politico, nessun cedimento di
fronte a questa o a quella lusinga. I quasi tre anni trascorsi dal
giorno dell'elezione a oggi permettono di dire che al Quirinale non
albergano certo tentazioni partigiane. È importante, naturalmente, ma
forse non sufficiente. Quel che va evitato, in un clima ancora
arroventato, è il tentativo di farne comunque un soggetto politico o,
peggio ancora, un alleato nella «guerra» a Berlusconi. È un rischio
cui occorre sfuggire: a cominciare dalla manifestazione voluta per
oggi dal Pd in difesa della Costituzione.
Utilizzare il Capo dello Stato contro il capo del governo, se questa
fosse la tentazione, non è mai una buona idea. A maggior ragione non
lo è oggi, quando di tutto c'è bisogno meno che di un affievolimento -
magari prodotto dall'esterno, e anche solo simbolico - del profilo
di «figura di garanzia» al quale Napolitano ha ancorato il suo
mandato. Sarebbe un calcolo dal respiro corto: che ci metterebbe
nulla a rivelarsi politicamente controproducente e, soprattutto,
micidiale per il nostro già fragile equilibrio istituzionale.
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