26.09.2009
Critica Liberale. In attesa di risposte chiare. Nel febbraio 2006, alla vigilia delle elezioni politiche che portarono Prodi alla vittoria per un soffio, la Fondazione Critica liberale promosse un Manifesto ("La cultura liberale e democratica per l’Unione") in cui si proponevano "Quattro priorità per il nuovo governo". Esso fu firmato da 43 illustri rappresentanti della cultura liberale e democratica, e successivamente sottoscritto da migliaia di aderenti. Lo scopo era quello di portare un contributo anche programmatico al coacervo di forze che si stava impegnando a sconfiggere Berlusconi. Eravamo consapevoli che senza una presenza liberale la sinistra avrebbe potuto anche vincere ma sarebbe rimasta bloccata dalle proprie contraddizioni e dalle proprie vuotaggini. Purtroppo le nostre indicazioni non indirizzarono mai l’azione di governo. Il fallimento di quella coalizione era scontato. Noi oggi le riproponiamo alla discussione all’interno del centrosinistra e della sinistra. Per onestà intellettuale prima che politica i leader del centrosinistra e della sinistra, e soprattutto i tre candidati alla segreteria del Pd, dovrebbero dare risposte chiare almeno su quattro punti che costituiscono la premessa necessaria della politica futura.
1) BERLUSCONISMO E ANTIBERLUSCONISMO. Quasi tutti i dirigenti dell’opposizione hanno sempre dimostrato, nella migliore delle ipotesi, di non comprendere a fondo il pericolo del berlusconismo, lo hanno sottovalutato, non lo hanno contrastato, hanno addirittura criminalizzato gli oppositori decisi del fenomeno Berlusconi, al massimo hanno considerato Berlusconi come un "avversario" come tanti. Ancora adesso ci sono rappresentanti autorevoli, che nel silenzio di tutti gli altri, mettono sullo stesso piano il berlusconismo e l’antiberlusconismo come ideologie violente. Non vedere che Berlusconi non era né la destra né un normale avversario, ma il pericolo mortale per la democrazia del paese è stata la grande responsabilità non solo del centrosinistra ma della sinistra tutta. Il berlusconismo è ora cultura di massa, degenerazione dell’etica pubblica, calpestamento dello Stato di diritto, asservimento al clericalismo e alle pretese delle gerarchie cattoliche, bacillo che ha infettato anche gran parte delle classi politiche dell’opposizione, sia al centro sia in periferia. Il centrosinistra e la sinistra avrebbero il compito di chiamare a raccolta tutte le forze disponibili contro il tracollo del paese, ma i loro gruppi dirigenti si assumono le gravissime responsabilità del recente passato? Sono in grado di porre al centro della propria azione politica la lotta contro questa degenerazione e i suoi protagonisti?
2) BIPOLARISMO O BIPARTITISMO. In occasione delle ultime elezioni politiche il Pd prese due decisioni: scelta dell’alleanza di governo solo dopo le elezioni e quindi spoliazione dell’elettorato d’ogni scelta (le cosiddette "mani libere") e "autosufficienza" o "vocazione maggioritaria" del solo Pd. Oggi in Italia il bipartitismo ha significato avallare o promuovere, con leggi elettorali ad personam, il tentativo, peraltro riuscito, di distruggere tutti i potenziali alleati, per annettere un consenso forzato. Il Pd scorrettamente non dichiarò prima delle primarie questi due capisaldi che hanno portato al suo naufragio elettorale e al trionfo dell’avversario; ora lo stesso partito o, meglio, i candidati alla segreteria, hanno il dovere di pronunciarsi con chiarezza: si continua a liquidare ogni possibile alleato, rendendo irreversibile per decenni il dominio elettorale dei berlusconiani, o si dichiara di voler smantellare ogni masochistico impedimento legislativo per l’organizzazione di nuove alleanze, anche molto allargate, in grado di contrastare con qualche possibilità di successo il sistema berlusconiano? Si mira a costringere tutto un polo in un solo partito incapace di decidere o a costruire una nuova coalizione con un solo punto programmatico: restaurare le regole della democrazia liberale e del vivere civile?
3) SECESSIONE E COMITATI D’AFFARI. Sotto l’egida della parola "federalismo" si sta affermando un preteso "diritto naturale" delle comunità locali alla separatezza. Ma esiste ancora un’azione che possa essere considerata di esclusiva pertinenza locale, avulsa da contesti generali, impermeabile ad influenze esterne e che non costituisca, a sua volta, influenza su altri contesti? E qual è il costo che la frammentarietà e la disuguaglianza (anche nell’istruzione) perseguita in nome dell’insindacabilità e assolutezza delle decisioni locali scarica sulla competitività dell’economia? E quale pericolo corre lo stesso concetto di cittadinanza? La parola "federalismo", così com’è distorta oggi, non è che lo stratagemma utilizzato per rinchiudersi in recinti rissosi e forieri di aspre contese e di dissoluzione del tessuto sociale e politico unitario. L’attacco alla lingua italiana, in nome dei dialetti, che altro è se non la dimostrazione della pervicace volontà di distruggere l’unità e la modernità politica conquistate a caro prezzo, oltre a un immenso patrimonio culturale? Può l’opposizione continuare ad assumere posizioni ambigue, tattiche, culturalmente subalterne, perfino accondiscendenti e corrive, o addirittura il silenzio di fronte alla politica secessionista e qualunquista mascherata da autonomismo e da federalismo? E infine - argomento risolutivo - che senso ha oggi una discussione astratta e accademica sul centralismo e sul federalismo senza tenere conto che la cosiddetta autonomia delle comunità locali ora non è altro che lo schermo utile a una rapace classe politica locale per accaparrare risorse, mantenere clientele e uno stato di dipendenza dei cittadini? Quando non è altro che il luogo privilegiato della corruzione politica?
4) CONDIZIONI DI VITA E PRECARIATO. La crisi dell'economia mondiale ha reso ancora più drammatico lo stato dell'economia italiana, che soffre in particolare a) di un'accentuata sperequazione nella distribuzione dei redditi, b) di un'incidenza particolarmente elevata di un precariato privo di ogni garanzia e non più esclusivamente giovanile e/o dequalificato. Il Pd e gli altri partiti del centrosinistra e della sinistra prendono le distanze in maniera chiara dall’idea che la crisi sia solo il frutto della voracità della "finanza", salvo poi farla riprendere come prima? Si rimette al centro della politica economica il "lavoro" e il recupero del potere d’acquisto perso negli ultimi decenni? Si è in disaccordo con chi sostiene che il miglioramento dei salari deve passare solo attraverso un aumento della produttività ed una revisione della contrattazione come se la sperequazione di questi anni fosse stata frutto di una revisione della contrattazione? Si è consapevoli che una delle vie attraverso le quali la sperequazione si è attuata è stata la precarizzazione del lavoro, la quale deve essere assolutamente ridimensionata anche per evitare drammi sociali e lacerazioni nella collettività che pagheremmo molto caro in futuro? Che a questo scopo è necessario che l’Unione Europea proponga e promuova una profonda riforma delle politiche economiche globali? Noi siamo convinti che queste distorsioni siano la principale causa della crisi. Siamo convinti che non affrontare queste emergenze creerà una situazione tragica sul piano sociale, con rischi di conseguenze sulla stessa tenuta democratica.
fonte: www.criticaliberale.it
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