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Quattro di luglio di Norman Solomon
7.08.2005

Quattro di luglio di Norman Solomon

E' vero che i famosi uomini della rivoluzione americana furono coraggiosi, eloquenti e visionari nello sfidare il despota britannico, re Giorgio III. Ma i mezzi di informazione di oggi, in genere, evitano di riconoscere una verità scomoda: molti di quegli eroi non sembravano turbarsi più di tanto nel trarre beneficio delle ingiustizie.

Sono forse l'unico cittadino USA che trova i riti annuali del quattro di luglio melensi ed ingannevoli? Sì, sono solo io... insieme a qualche altra decina di milioni di persone.

Fin dalla guerra del Vietnam, il quattro di luglio sembra una festa del passato, in un presente tutt'altro che glorioso. Nel 2005, come nel 1965, il gusto nel vedere "bombe che esplodono nel cielo" si raggela nel contesto della realtà attuale.

Nel complesso, l'impressione che mi lascia il giorno dell'indipendenza resta quella che avevo dieci anni fa.

Le feste patriottiche passano, ma un tema è costante nei mass-media del nostro Paese: i Padri fondatori erano ragazzi d'oro.

L'entusiasmo che la stampa ha per loro si scatena all'arrivo del quattro di luglio: ovazioni superficiali per per i capi della lotta per l'indipendenza.

È vero che i famosi uomini della rivoluzione americana furono coraggiosi, eloquenti e visionari nello sfidare il despota britannico, re Giorgio III. Ma i mezzi di informazione di oggi, in genere, evitano di riconoscere una verità scomoda: molti di quegli eroi non sembravano turbarsi più di tanto nel trarre beneficio delle ingiustizie.

Prendi quel genio che ha scritto la Dichiarazione di Indipendenza. Thomas Jefferson di certo aveva una passione per la libertà: "Ci sembrano fondamentali queste verità, che tutti gli uomini sono creati uguali, e che il loro Creatore li ha dotati di certi Diritti inalienabili ...".

Tutti gli uomini? Non proprio. I lussi del Monticello sono stati resi possibili dalla schiavitù. Jefferson può aver lottato con la sua coscienza, ma questa ha finito col perdere. Egli rimase proprietario di schiavi fino al giorno della sua morte.

Quanto alle donne, non se ne parla nemmeno. Per Jefferson le donne non dovevano avere titolo a delle proprietà o diritto di voto. Le donne, argomentava, sarebbero state "troppo sagge per spremersi le meningi con questioni politiche".

A dirla tutta, alcuni dei patrioti di spicco erano proprio avidi.

George Washington era l'uomo più ricco d'America. Al suo confronto, Donald Trump non sarebbe che un costruttore da quattro soldi. Dopo la Guerra di Rivoluzione, secondo quanto Howard Zinn rileva in "Storia popolare degli Stati Uniti", Washington usò l'enorme potere e ricchezza che aveva per accaparrarsi vaste estensioni di terra.

Anche Partick Henry fu tra gli eroici guerrieri per l'indipendenza che più in là fece strage di possedimenti verso Ovest. Dopo aver chiesto "Datemi la libertà, o datemi la morte", Henry volle far sloggiare gli Indiani. Il suo slogan avrebbe potuto diventare: "Datemi la prioprietà, o dategli la morte".

James Madison e molti altri fondatori degli Stati Uniti furono padroni di vaste piantagioni. Essi si assicurarono che la Costituzione USA avrebbe perpetuato la schiavitù: ogni schiavo contava tre quinti di una persona, e non aveva diritti.

Ma questa è storia vecchia, è acqua passata... o no? No, niente affatto.

Far finta di non vedere aspetti orribili del passato è una cattiva abitudine che può ripercuotersi nel presente. Fin troppo spesso, i giornalisti si concentrano sugli aspetti di facciata vecchi e nuovi, quelli da pubbliche relazioni, e non fanno attenzione alle persone lasciate fuori dal quadretto.

Nel 1776, tutti i discorsi eleganti sulla libertà non fecero nulla per schiavi neri, donne, servi e Indiani d'America. Se dimentichiamo questo fatto, ricordiamo solo favole invece che storia.

Nel bicentenario della Costituzione, Thurgood Marshall, giudice di Corte Suprema, pose un freno alla tradizionale idolatria degli autori della Costituzione: "Il sistema di governo che essi idearono era difettoso fin dall'inizio, e ci vollero diversi emendamenti, una guerra civile e una tumultuosa trasformazione sociale per raggiungere quel rispetto delle libertà individuali e dei diritti umani che oggi consideriamo fondamentale".

La maggioranza dei delegati riuniti a Filadelfia per dare forma alla Costituzione erano ricchi. Essi "erano decisi a che persone di rango, per nascita e per averi, dovessero controllare gli affari della nazione e controllare gli 'impulsi al livellamento' della moltitudine senza proprietà che costituiva la 'fazione maggioritaria'", scrive lo studioso in scienze politiche Michael Parenti.

Nel suo libro "Democrazia per i pochi" Parenti nota: "I delegati passarono molte settimane a discutere i loro interessi, ma le loro erano discussioni tra commercianti, proprietari di schiavi, e imprenditori, tra coloro che hanno e altri che pure hanno, in cui ogni gruppo cercava di inserire nella nuova Costituzione salvaguardie per i propri interessi particolari".

Tuttavia "non ci furono contadini o poveri artigiani presenti nell'assemblea per poter offrire un punto di vista opposto. Il dibattito tra chi ha e chi non ha non è mai avvenuto". E "i delegati affermarono ripetutamente la loro intenzione di costruire un sistema di governo abbastanza forte da poter proteggere coloro che hanno da coloro che non hanno".

A più di due secoli di distanza, ci sarebbe da sperare che un numero maggiore di giornalisti mettesse da parte i miti adulatori sui Padri fondatori. Se ciò accadrà mai, l'emergere della sincerità potrebbe perfino aiutare a giungere alla verità su quegli altri padri che ci governano oggi.


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