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La salvaguardia degli apparati |
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9.03.2006
La nuova legge elettorale approvata da questa maggioranza di governo è ignobile e sciagurata, e poco hanno fatto gli apparati dei partiti per evitare le conseguenze disastrose sui diversi ambiti territoriali, che hanno assistito impotenti alla mortificazione dei propri candidati.
Studiata per impedire quei processi di aggregazione, che nelle esperienze elettorali più recenti hanno premiato gli sforzi unitari del centrosinistra, ha favorito in maniera smisurata il proliferare di simboli e formazioni in ambedue gli schieramenti. Di conseguenza, con effetto domino, ha moltiplicato le necessità di recupero di posti sicuri, non più solo per i leader di partito, ma anche per dirigenti di secondo livello, mogli di notabili e portaborse.
Ne hanno fatto le spese soprattutto le regioni del sud, ma anche al nord una provincia come Varese ne condivide il malumore. Decisioni e candidature calate dall’alto, o meglio da Roma, si sono riversate come fiumi in piena nelle circoscrizioni elettorali più deboli (meridionali soprattutto), che vedranno così ulteriormente ridimensionate le capacità di rappresentanza in Parlamento.
Ne esce mortificato anche lo spirito nobile dei Padri Costituenti, che avevano immaginato un Parlamento, (in particolar modo il Senato) rappresentativo delle diverse realtà territoriali del Paese. Invece, i due terzi delle posizioni in lista con nomina sicura saranno occupati da candidati esterni alle regioni di competenza.
Saltate o tradite anche molte intese tra piccole forze e partiti maggiori. Ad esempio, a poco è valso l’impegno coerente del PSDI a garantire una risposta unitaria, in accordo con l’Ulivo e le altre forze dell’Unione, per presentare una diffusa proposta elettorale su tutto il territorio nazionale. Per i suoi candidati non si è riusciti a trovare un’adeguata collocazione alla Camera, nella lista unitaria dell’Ulivo, nonostante le promesse e gli accordi in essere con i Ds e nonostante l’intesa a non presentare proprie liste per Montecitorio.
La strada, verso il nuovo soggetto politico nel centrosinistra, sarà più lunga e più tortuosa di quanto immaginato. Perché se è vero che senza Ds e Margherita non ci sarà mai il Partito democratico, certamente non potrà neppure esserci se fatto solamente da loro, quale risultante di una fusione dei due apparati.
La gestione della formazione delle liste e la poca sensibilità verso il coinvolgimento della società civile, protagonista della straordinaria partecipazione alle Primarie di ottobre, hanno stimolato le attenzioni di chi si sente in linea con il progetto politico del Partito democratico e vuole continuare, con coerenza e correttezza, a perseguirne finalità e prospettive.
Il Partito democratico dovrà essere plurale, aperto ed inclusivo. In quest’ottica e in una proiezione europeista, ogni sua componente dovrà sentire di poter assumere un ruolo non secondario, fare proprie le aspirazioni delle comunità locali e con vigore riportare “la persona” al centro di ogni attenzione.
di Antonio V. GELORMINI (gelormini@katamail.com)
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