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LA FRONTIERA INDIANA di Antonio V. GELORMINI
17.02.2007

LA FRONTIERA INDIANA di Antonio V. GELORMINI

In qualunque modo la si rigiri, ogni qualvolta parliamo di frontiera, per un verso o per l’altro, troviamo dall’altra parte sempre degli indiani. Poco importa se discendenti di Manitu o seguaci di Visnu, resta il fatto che il futuro continua a viaggiare sul fascino di una linea suggestiva,  racchiuso nei colori e nelle forme di originali segni sul viso. Oggi, in quella pallina disegnata sulla fronte.Mumbai è un nome che dovremo far diventare familiare. Capitale economica e finanziaria di un Paese con oltre 1 miliardo di abitanti (metà dei quali hanno oggi meno di 25 anni), presidia il crocevia di un sistema economico-produttivo, che prevede di creare nei prossimi 5 anni un quarto di tutti i nuovi posti di lavoro su scala mondiale. Entro il 2020 saranno 200 milioni. “Più di quanto ci si attende che facciano America, Europa e Cina messe assieme”, ha tenuto a precisare il presidente del Consiglio Romano Prodi, a capo della foltissima spedizione italiana in missione in India.Un Paese che nei prossimi tre decenni, lo spazio di una generazione, diventerà la terza economia del pianeta. Una realtà che già oggi è il secondo assetto produttivo di applicazioni informatiche, il terzo mercato per ordinativi di nuovi aerei, il quarto per la produzione di medicinali e il quinto al mondo per le telecomunicazioni. Con un potenziale di crescita da capogiro.Tra tutti questi dati, che fanno dell’India l’interfaccia del futuro per chiunque abbia a cuore un’azione pianificatrice del proprio sviluppo, ce n’è uno che perpetua l’eterna lotta tra indiani e yankee. Un tempo nel lontano West oggi nel più vicino Oriente. Il continuo rivaleggiare nei fotogrammi di una macchina da presa e in quelli proiettati sui grandi schermi di sale affollate.Il cinema ormai è un’industria come un’altra. E la più fiorente industria cinematografica del mondo non si trova più nella vecchia Hollywood, bensì nell’affascinante e moderna India.  Qui 800 film all’anno segnano il sorpasso indiscutibile sugli indici produttivi degli studios californiani. Hanno cambiato i costumi, trasformato le penne in pen-drive, sono meno violenti, sorridono di più e rappresentano l’agognata rivincita a fiumi di sequenze, che li vedevano soccombere in sconfitte senza fine.Ha detto ancora Romano Prodi: “L’India ha smesso di seguire. Si è messa a correre e guida la globalizzazione, forte di quel miliardo di persone che vogliono inserirsi nella vita di tutti noi”. Una sfida immensa. Perché lo abbiamo sempre visto e saputo: se l’indiano comincia a correre è difficile stargli dietro ed è maledettamente facile smarrire la frontiera.(gelormini@katamail.com)   


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