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La verità di Franco Turigliato
3.03.2007
Riceviamo da Franco Turigliatto, e volentieri pubblichiamo, la sua "verità" su quanto accaduto in questi giorni.
Al di là del merito della vicenda, crediamo che la gogna mediatica a cui è stato sottoposto sia un brutto episodio per la sinistra tutta.
Come lo è la decisione di Rifondazione Comunista di sospendere il compagno Turigliatto per due anni.
Crediamo che la sinistra, se davvero vuole rinnovarsi nei valori e nella pratica politica, debba necessariamente abbandonare
pratiche conformiste che pensavamo ormai morte e sepolte
 
Cari compagni e compagne, amici e amiche,
 
Sono in attesa che il Senato accetti le mie dimissioni, che comunque non ho ritirato e non ritirerò. Nel frattempo, nei prossimi giorni sono chiamato a esprimere il mio voto sulla fiducia al governo Prodi. Vorrei dunque spiegare le ragioni della mia scelta di dare un voto a favore, che definerei tecnico, pur respingendo tutti i dodici punti del governo Prodi nel loro complesso. Nel mio intervento al Senato, infatti, spiegherò con molta nettezza che non si potrà contare su di me per approvare la missione in Afghanistan, né per realizzare la TAV o la controriforma delle pensioni. Non lo si potrà fare perché io non voterò queste misure, anche se su di esse si rischiasse una nuova crisi di governo. E, va da sé che continuerò con voi la battaglia contro la base di Vicenza.
Con il mio rifiuto di votare a favore della politica estera del governo, non ho mai avuto intenzione di compiere un gesto politicista per provocare una crisi di governo. Il mio è stato un gesto di responsabilità nei confronti delle mie convinzioni e di quelle di chi, come me, si sente distante da una politica estera che continua a fare la guerra, sia pure multilaterale; che sostiene una concezione liberista dell’Europa; che pensa che inviare soldati in giro per il mondo sia un modo per “contare” nei luoghi della politica internazionale. Un gesto animato dal rifiuto di lasciarmi convincere a considerare come una missione di civiltà e di pace quella che non è altro che un’occupazione militare. Un piccolo gesto a sostegno di quella straordinaria lotta di Vicenza contro la costruzione di una base che distrugge il territorio e che sarà uno strumento fondamentale del dispositivo USA di intervento nella guerra globale e permanente. Un gesto di cui non mi pento e che ripeterei in ogni momento. Il mio dissenso con la politica estera del governo muove da qui e non può che essere ricollegato alla mia irriducibile opposizione alla guerra in Afghanistan e alla decisione del governo di autorizzare il raddoppio della base di Vicenza. Il senso del mio voto, in dissenso dal mio partito, ma in dissenso su un punto che considero fondativo e fondante per chiunque faccia politica, il no alla guerra, è tutto qui.

Non credo di essere stato io il responsabile della crisi di governo, della quale i primi responsabili sono il governo stesso e le politiche che ha adottato in tutti questi mesi, e che lo hanno sempre più allontanato da chi lo aveva votato. Una crisi nata per ragioni in parte oscure, in parte dovute alla volontà dell’ala riformista dell’Unione di drammatizzare la situazione, per intimare alla sinistra alternativa il silenzio sulle questioni più scottanti. Una crisi che è servita a stoppare qualsiasi rivendicazione e a sancire il corso “liberale” dell’attività di governo. In questo senso il dibattito al Senato è stato un ricatto, in particolar modo su Vicenza. Anche per questo ho detto no.

L’uscita dalla crisi mi sembra che confermi questo giudizio. I dodici punti presentati da Prodi sono la sanzione di una svolta liberista e di una decisa volontà di affermare una politica di sacrifici e di guerra multilaterale. Gli attacchi di cui sono stato fatto oggetto, lo spauracchio del ritorno di Berlusconi al governo, nuovamente agitato dai miei accusatori, erano finalizzati proprio a nascondere questa realtà: il fatto che il bilancio di questi mesi di governo Prodi è fortemente negativo e che ciò che si profila è un’azione di governo ancora peggiore della precedente. Questo giudizio, ovviamente, non è condiviso dal mio partito, che invece sostiene fortemente il nuovo governo. Èd è stato accolto in vario modo dalla società civile, dai movimenti, da quadri sindacali, da esponenti del pacifismo radicale, dagli stessi che il 17 febbraio sono scesi in piazza a Vicenza. La paura di un ritorno delle destre al governo, infatti, è molto forte. C’è chi pensa, inoltre, che la partita con il governo Prodi non sia chiusa e che la sua sopravvivenza costituisca il quadro in cui ottenere risultati più avanzati o comunque una dialettica democratica.

Non avendo deciso io di provocare la caduta del governo Prodi penso che sia giusto verificare queste intenzioni, dialogare con tanta parte del movimento e del “popolo della sinistra” che la pensa così, permettendo al governo Prodi di rimanere in piedi. Ma penso che questo si possa fare solo nella estrema chiarezza delle posizioni. Non sarò mai disponibile a votare la guerra in Afghanistan né a rendermi complice delle politiche antipopolari di questo governo.

Ovviamente, non prevedo un futuro agevole. I 12 punti presentati dal governo sono un arretramento e uno schiaffo ai movimenti e agli stessi partiti della sinistra alternativa. Prevedo dunque una fase in cui andrà sviluppata un’opposizione sociale alle misure del governo Prodi, opposizione che dovrà avere anche ricadute parlamentari. Questa è la mia intenzione. Per dirla con una battuta, è possibile scegliersi il governo a cui fare opposizione, rendendo incomprimibili alcuni principi e alcuni vincoli per me essenziali: quelli con il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici, quelli con le comunità popolari in lotta contro la TAV, i rigassificatori, per la difesa dell’ambiente, quelli con il movimento pacifista che si è visto recentemente a Vicenza. Sono questi i vincoli che regolano la mia attività politica, non un’astratta coerenza ideale, ma un progetto politico che mi ha accompagnato per tutta la vita.

Negli ultimi quindici anni questi vincoli, questi convincimenti hanno coinciso perfettamente con quelli di Rifondazione comunista. Qualche giorno fa, però, il mio partito mi ha dichiarato “incompatibile” semplicemente perché sono rimasto fedele al programma storico del Prc. Non voglio discutere di una scelta che mi riguarda, ma posso dire una cosa. Ho costruito Rifondazione fin dalle fondamenta, l’ho difesa quando era sotto attacco, ho passato centinaia di ore davanti alle fabbriche torinesi e in giro per l’Italia a parlare con gli operai e le operaie. La minaccia di espulsione dal partito mi amareggia e mi delude allo stesso tempo. Ma è il frutto di un cambiamento di fondo delle priorità del Prc e della sua azione: alcune idealità superiori sono messe al servizio di un progetto politico contingente, compiendo un processo di snaturamento della sinistra che mi lascia interdetto. E soprattutto mettendo alla berlina una qualità fondante della politica – la coerenza tra coscienza e azione - la cui assenza è oggi alla base di quella “crisi” di cui si discute da oltre un decennio. Non è la prima volta nella storia che chi da sinistra si oppone alla guerra, chi dice no in Parlamento, contro tutto e tutti, sia accusato di essere affetto da uno “splendido isolamento”, di essere “un’anima bella”, “incapace di realismo”, “irresponsabile” o “idealista”: queste accuse non fanno male a me, ma a un’esperienza in cui ho creduto e riposto tutto il mio impegno e che oggi viene meno per responsabilità di chi ha deciso di piegarsi all’esistente.

Per tenere fede alle mie convinzioni e ai miei vincoli è stato messo in discussione il vincolo che mi legava al partito e addirittura un governo ha dovuto dimettersi. Non mi ritengo così importante e così essenziale. Forse tutto questo rappresenta la spia di molteplici contraddizioni che riguardano la sinistra nel suo insieme e il rapporto tra il governo e la sua gente. Un rapporto logorato come dimostrano tutti i sondaggi e gli episodi di malcontento. Per parte mia non posso che continuare a ribadire quanto detto e fatto negli ultimi giorni. Se l’aula respingerà le mie dimissioni, e dunque finché sarò al Senato, io voterò ancora contro la guerra, perché il no alla guerra e il rapporto con il movimento operaio costituiscono la bussola del mio agire politico: esse sono da sempre l’alfa e l’omega di una prospettiva di classe ed anticapitalista.

Permettetemi dunque di ringraziarvi per le parole che avete utilizzato nei miei confronti, spesso commoventi. Onestamente non credo nemmeno di meritarle, semplicemente perché in questo mondo sembra anormale quello che alle persone serie dovrebbe sembrare normale: agire secondo le proprie convinzioni. Se questo piccolo gesto sarà servito a riabilitare questa logica che ad alcuni sembra, con giudizio sprezzante, troppo “idealista”, allora sarà stato utile. La mia strada è comunque questa e spero di continuare a percorrerla insieme a voi. Ancora grazie.

Roma, 28.02.2007

Franco Turigliatto
 
 

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