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Milano, non lasciamo alle destre il referendum di Stefano Facchi
7.04.2007

Non lasciamo alle destre il Referendum per l’abrogazione della legge elettorale.

 

Se ‘interrogativo fosse: “quale ritieni possa essere lo strumento migliore per mettere fine alla pessima legge elettorale votata appena una anno fa dal governo Berlusconi?”, non avrei dubbi.

Risponderei che dovrebbe essere il Parlamento ad approvare con una maggioranza qualificata e bipartisan la nuova legge che, se fossimo in presenza di una classe dirigente dotata di senso dello Stato, non potrebbe che tradursi in regole sensate, slegate dalla situazione contingente e dagli interessi di bottega che, alla prova dei fatti, producono niente di più di un limite grave alla governabilità quale che sia la coalizione vincente e, beffa della sorte, rischiano di tramutarsi in un vero e proprio boomerang che va a concludere la sua corsa sulla nuca di chi l’ha lanciato.

Penso, pertanto, che servirebbe una legge in grado, come primo punto, di ripristinare il legame tra l’eletto ed il territorio, legame che rappresenta il sale della democrazia parlamentare: poter scegliere il proprio rappresentante giudicandolo per quanto e come ha saputo relazionarsi con il proprio elettorato diventa, per i cittadini, uno degli strumenti più importanti nell’esercizio della partecipazione alla vita del paese.

Un provvedimento simile, inoltre, metterebbe fine alla sconcertante situazione che consente a una ventina di persone, o poco più, di “nominare” le due Camere componendo liste blindate e disponendo a proprio piacimento la disposizione numerica all’interno della lista stessa (che significa, poi, nel concreto, l’eleggibilità del candidato).

Immagino poi una legge che, raccogliendo il messaggio forte e chiaro proveniente dall’elettorato di destra e di sinistra, sappia procedere alla semplificazione della politica, riducendo drasticamente il numero dei partiti e partitini che popolano le due Camere, incentivando percorsi unitari e scoraggiando le divisioni, spesso pretestuose, che costellano la storia della democratica del nostro paese.

Sono solo due punti, ed altri se ne potrebbero aggiungere, ma sono già più che sufficienti per affermare quanto sia grande la necessità di un provvedimento adeguato.

Ed ecco, allora, affiorare una domanda: perché, ad oggi, nonostante la fragilità di questo governo ed il malaugurato rischio di dovere, prima o poi, ricorrere nuovamente alle urne, non si è provveduto a rimuovere quella che lo stesso Calderoli non ha esitato a definire pubblicamente come una “porcata” e, al contrario, si brancola nel buio di un dibattito fumoso su modelli i più diversi tra di loro (sindaco d’Italia, regionali, spagnolo, tedesco e via dicendo) dove la parte del leone la fa non chi propone ma chi, forte magari di qualche voto da usare in Senato, pensa di poter continuare ponendo veti?

E’ in questo contesto che si pone la questione del Referendum.

Che ci piaccia oppure no, il 24 aprile partirà la raccolta delle firme in tutto il paese.

E noi, a questo punto, che facciamo?

Sconcerta, su questo argomento, la presa di posizione dei leaders dell’Unione.

Vogliamo davvero correre il rischio di lasciare nelle mani delle destre, cioè di coloro i quali, soltanto pochi mesi fa, hanno creato questa legge mostro, la paternità di una iniziativa che non fa altro che riprendere e rilanciare i valori che sono ben radicati nel nostro patrimonio culturale e sono stati un tratto distintivo della nostra campagna elettorale?

Incapaci, per problemi interni alla maggioranza, di produrre una legge davvero efficace, vogliamo ridurci a rappresentare la parte conservatrice di questo paese rinunciando a svolgere quel ruolo di rinnovamento della politica e di promozione della partecipazione che deve essere al centro del percorso costituente del Partito Democratico?

E siamo davvero sicuri che tutta questa cautela si tradurrebbe poi in un aiuto al Governo Prodi?

Penso proprio di no, per la ragione che non verremmo capiti dalla nostra gente e, nel tentativo di essere più realisti del re, produrremmo un danno incalcolabile proiettando anche un’ombra inquietante sulle già fragili fondamenta del partito che ci apprestiamo a costruire.

Per la mia cultura ambientalista e non violenta, rifuggo da definizioni come “pistola fumante”;  credo, più semplicemente, che sostenere e promuovere il referendum, come già sta avvenendo in buona parte del territorio, significhi premere sul Parlamento perché, posto di fronte ad un percorso ben definito nei tempi, sia costretto, finalmente, a superare i veti incrociati ed a produrre quella legge che tutti noi auspichiamo rilanciando l’Ulivo come paladino dei diritti dei cittadini e sostenitore di quel bipolarismo che, non dimentichiamolo, è una delle ragioni fondanti del Partito Democratico.

 

                 Stefano Facchi

Esecutivo Nazionale Cittadini per l’Ulivo

 


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