 |
Partito democratico: o si fa o non si fa (di Paolo Serra) |
 |
12.01.2007
Spostarsi dai problemi topografici per affrontare quelli politici.
Mi pare che le modalità 'chiuse' con le quali si sta procedendo alla costituzione di un nuovo partito che si definisce: democratico, popolare, riformatore, di massa, siano in palese contraddizione con i suddetti principi fondatori. Le attuali oligarchie che governano DS e Margherita stanno dimenticando, probabilmente per comprensibili ansie personali, che l'Ulivo ha vinto solo quando é stato capace di estendersi al di là delle sue fronde, come nel 1996 e nel 2006, ed ha perso quando si é chiuso in se stesso, come nel 2001.
La discussione, inoltre, é bloccata eternamente sulla dislocazione nella topografia politica, senza accorgersi che si sta per costruire qualcosa contraddicendola in partenza. Adesso l'attenzione é polarizzata sulla creazione di una terza posizione intermedia, capitanata da Gavino Angius, e, a Bologna, pare, da Mauro Zani che propone praticamente di fare il partito senza farlo. A me pare solo un modo, magari politicamente raffinato, ma sempre e solo un modo, di eludere il problema: trasformare o no una coalizione, spesso vincente, in un partito, ma come una donna incinta, o lo é o non lo é, un partito o si fa o non si fa, terzium non datur.
Io credo che sarebbe meglio che il dibattito pubblico si indirizzasse su quelli che, secondo me, dovrebbero essere le travi portanti della nuova costruzione: la democrazia e trasparenza interne, il rapporto fra militanti di base e dirigenti, i diritti del singolo iscritto, problemi pur ben evidenziati a suo tempo dalla relazione di Salvatore Vassallo, che fece scalpore ma di cui non si parla più.
Un partito del terzo secolo che voglia mantenere salde radici in una società non più divisa in classi ma esasperatamente individualistica (e non faccio valutazioni etiche, fotografo solamente la realtà delle società occidentali post-industriali) non può esistere se non affronta questi problemi. Continuando ad eluderli nascerà qualcosa di molto diverso dall'obiettivo dichiarato: un partito di professionisti o aspiranti tali che non riuscirà mai ad attrarre chi desideri fare politica spinto solo dal senso civico. I girotondi degli anni passati e le primarie di Romano Prodi non hanno dimostrano abbastanza la vastità della richiesta di riforma della politica che viene dalla società ? Come può un partito i cui fondatori dichiarano di volere nuovo, aperto alla modernità , interprete della società del terzo secolo, nascere dalla pura e semplice fusione di due oligarchie? Con quale credibilità ed entusiasmo si potrebbe rivolgere poi ai cittadini?
Paolo Serra, Bologna
|
|