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La Finanziaria 2004 tra bandierine e una-tantum
1.10.2003

di Tito Boeri e Giuseppe Pisauro

da www.lavoce.info

Rigore e sviluppo

L’Italia non può davvero permettersi di "guardare alla televisione" (1) la ripresa dell’economia mondiale. Mai come quest’anno, l’inflazionato binomio "rigore e sviluppo" dovrebbe perciò ispirare la Legge finanziaria. Compito arduo, reso ancor più complesso dal fatto che il 2004 sarà un anno elettorale, in vista del quale l’assalto alla diligenza del bilancio avviene tradizionalmente a mano armata.

Conciliare rigore e sviluppo in questi frangenti consiste nell’avviare riforme che riducano significativamente il debito pubblico e, con la credibilità acquisita, finanziare politiche di rilancio dell’economia. È questo l’unico modo per cercare di agganciare la ripresa sotto gli occhi dei mercati e dei partner dell’Unione monetaria, che guardano con legittima preoccupazione allo stato dei nostri conti pubblici, data la montagna del debito pubblico. Il tetto del 3 per cento al deficit strutturale impostoci dal Patto di stabilità e crescita è una regola definita proprio per impedire un cammino esplosivo del debito pubblico. È questo che conta più del saldo di bilancio, anno per anno.

Una riforma o un rinvio?

Per questo ha fatto bene il ministro Giulio Tremonti a battersi per tenere la riforma delle pensioni agganciata al resto della manovra. Ed è giusto il richiamo alla centralità del problema previdenziale offerto dal presidente del Consiglio nel suo messaggio a reti unificate. Perché una riforma che guardasse al lungo periodo potrebbe rassicurare i cittadini e i mercati senza strangolare l’economia.

Nelle proposte di revisione del Patto di stabilità e crescita elaborate dalla Commissione europea, riforme strutturali che riducano il debito pubblico legittimano transitorie violazioni del tetto del 3 per cento. Strutturale, in questo contesto, significa riduzione del debito pubblico. Ma, come già commentato su lavoce.info (vedi Boeri Brugiavini), la riforma previdenziale proposta dal Governo rischia di avere effetti tutto sommato marginali sul debito pubblico, perché sposta la spesa previdenziale nel corso del tempo, anziché ridurla in modo permanente. C'è il rischio di alimentare forti fughe verso le anzianità mentre è sicuro che l’Inps non riceverà i contributi di chi non sarebbe comunque andato in pensione. Quindi il disavanzo da qui al 2008 rischia di peggiorare. La riforma è inoltre, iniqua perché premia chi è già stato risparmiato dalle riforme degli anni Novanta e colpisce anche chi ha già pagato. Introduce poi molta rigidità nel sistema, creando tensioni sul mercato del lavoro ed è per questo destinata a incontrare l’opposizione sia dei lavoratori che dei datori di lavoro.

Ma soprattutto rinvia al 2008 interventi che saranno a quel punto molto impopolari, lasciando aperta la possibilità di cambiamenti di rotta. Non rappresenta un credibile impegno a ridurre il debito, ma un passaggio della patata bollente al prossimo Governo. Non ridurrà l’incertezza dei mercati (significativo il commento dell’Economist di questa settimana: "passa il problema ai successori"). Né servirà a rassicurare gli italiani sul futuro del loro sistema previdenziale. Insomma, è un rinvio, più che una riforma.

Una tantum costose

La manovra vera e propria contiene di tutto tranne la lungimiranza. Non si lesina il ricorso a misure una-tantum, volte ad aumentare il gettito nel 2004, a costo di pregiudicare le entrate e uscite future, dunque peggiorando il debito pubblico. I condoni tributari spingono il debito verso l’alto ingenerando nel contribuente l’aspettativa che le sanatorie verranno ripetute, con effetti negativi duraturi sul gettito fiscale, come non mancheremo di documentare su lavoce.info.

Il condono edilizio, invece, agisce sul lato delle spese future: non solo alimenta il dissesto del nostro territorio, ma nel caso di calamità naturale, condanna lo Stato a compensare i molti costruttori abusivi in zone a rischio, come rilevato recentemente dal direttore generale della Protezione civile, Guido Bertolaso.

Le vendite di immobili mediante cartolarizzazioni, se non opportunamente preparate, possono creare problemi nel futuro (come indicano le difficoltà incontrate nel 2003 dal programma di vendite di Scip2), quando dovranno dar luogo a vendite reali per rimborsare i sottoscrittori dei titoli. Ancora peggiore è il caso delle operazioni di sale-and-lease-back (vendita a terzi che poi riaffittano ai proprietari originari) su immobili utilizzati da enti pubblici, che irrigidiscono per decenni i bilanci futuri con la spesa per affitti.

Non parliamo poi dei tagli della spesa effettuati in maniera indiscriminata (come quelli attuati secondo le procedure introdotte dal decreto blocca-spese del 2002) che possono realizzare risparmi oggi solo al costo di maggiori spese nel futuro, quando incidono sui rapporti contrattuali tra amministrazione e fornitori. Non mancano, infine, nuove voci ad arricchire il catalogo delle "ipoteche sul futuro":la cartolarizzazione dei finanziamenti futuri per la ricerca (400 milioni) è un bell’esempio.

Tutto ciò significa miglioramenti della finanza pubblica nei prossimi 12 mesi e peggioramenti nel lungo periodo. Esattamente l’opposto di quanto sarebbe oggi necessario.

Una logica di provvisorietà la si riscontra anche nella sostanziale rinuncia a intervenire in modo mirato sulla spesa. Gli interventi consistono nell’imposizione di tetti, senza tentare una riconsiderazione di scelte e singoli programmi, che pure sarebbe possibile (valgano gli esempi citati da Francesco Giavazzi sui trasferimenti alle Regioni a statuto speciale o sulla istituzione di nuove università in località improbabili). Questo è un atteggiamento che ci trasciniamo ormai da anni, comune a Governi precedenti.

Emblematica è la vicenda del blocco del turn-over del pubblico impiego, che compare da almeno dieci anni in tutte le finanziarie (e quella del 2004 non fa eccezione). Il blocco è sempre stato emendato in corso d’anno da un pacchetto di deroghe che consentono a singole amministrazioni un certo numero di assunzioni. Una logica di interventi urgenti e frammentari che non si è mai tentato di superare (in realtà non si sa neanche con precisione quali effetti un decennio di blocchi e deroghe ha avuto sulla consistenza del personale nei vari settori).

La fiera dei programmi simbolici

Come vengono utilizzate risorse raccolte in modo così costoso per il futuro? Emblematico è il caso degli interventi sulla spesa sociale. È ampiamente documentato come il nostro sistema di welfare manchi di un insieme di ammortizzatori sociali che copra l’intero mercato del lavoro. L’intento del Patto per l’Italia dello scorso anno di destinare a un rafforzamento dell’indennità di disoccupazione 700 milioni (una cifra largamente insufficiente a riportarci in linea con i principali paesi europei, ma pur sempre un primo passo) è rimasto lettera morta. Gran parte dello stanziamento è stato poi usato per rifinanziare convenzioni in essere tra scuole e cooperative di pulizia.

Nella Finanziaria 2004 non si trova più traccia degli ammortizzatori, mentre circa 500 milioni di euro sono destinati a finanziare un "bonus neonati" di mille euro, a partire dal secondo figlio. Un provvedimento che eroga un sussidio indiscriminato anche a chi non ne ha bisogno e per un ammontare del tutto insufficiente a incentivare la natalità (se mai questi incentivi sono efficaci, cosa tutt’altro che provata).

Al tempo stesso, i Comuni che con i loro servizi possono efficacemente ridurre le spese di sostentamento dei figli, subiscono i tagli ai trasferimenti alla finanza decentrata, mentre viene riproposto il congelamento dell’autonomia tributaria locale, impedendo a Regioni e Comuni di intervenire sulle addizionali. Insomma, un cammino coerente verso il federalismo fiscale!

Di altrettanto dubbia efficacia sembrano alcune misure etichettate "per lo sviluppo" come contributi per l’acquisto di decoder o pc e l’istituzione di un Mit italiano. L’impressione è che, invece di concentrare le risorse su pochi interventi, si sia scelto di mettere una serie di bandierine per evitare di essere accusati di essersi disinteressati delle politiche per la famiglia, della fuga dei cervelli, dell’innovazione tecnologica, e così via. Peccato che la portata di questi interventi sia solo simbolica.

I costi di un’economia senza regole

Gli effetti di una politica concentrata sul breve periodo sono negativi non solo per la finanza pubblica, ma anche per l’economia nel suo complesso.

Rendere incerte le regole, ad esempio, in materia tributaria o di incentivi per l’occupazione (vedi Viesti), non favorisce certo gli investimenti privati e lo sviluppo.

Premiare chi ha violato le regole costa ancora di più. Provvedimenti come la riapertura dei termini (fino a marzo 2004!) del condono tributario sono devastanti per la credibilità delle istituzioni. Tra i fattori che determinano investimenti e crescita economica, forse più che la pressione tributaria, vi sono anche la qualità delle istituzioni, il rispetto delle leggi, il senso civico.

È un problema di fiducia, come scriveva nel febbraio di quest’anno l’Economist (The Economist, 20-2-2003, "A question of trust"). Facile distruggerla, molto, molto più difficile ricostruirla.

(1) L’espressione usata a Dubai dal capo economista del Fondo monetario internazionale, Kenneth Rogoff.


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